Non armiamo la pace

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Foto: Unsplash.com

Sistemi anticarro e antiaereo, mitragliatrici leggere e pesanti, mortai. Sono le armi da guerra che l’Italia manderà in Ucraina per difendersi dall’attacco di Mosca. Lo stabilisce il decreto legge approvato l’altro ieri all’unanimità dal consiglio dei ministri che prevede "un intervento per garantire sostegno e assistenza al popolo attraverso la cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari alle autorità governative ucraine". Per la seconda volta nella sua storia, lo Stato italiano decide di cedere gratuitamente (cioè regalare) missili Spike e Stinger, fucili Browning e Mg, oltre a giubbotti antiproiettile, munizioni, caschi e robot per lo sminamento, finanziando così un conflitto per 12 milioni di euro.

La prima è stata nell’agosto del 2014, quando il Parlamento venne richiamato dalle ferie ferragostane per approvare la fornitura di armi ai guerriglieri peshmerga curdi in Iraq, per fermare l’avanzata dell’Isis e la strage della popolazione yazida. Anche in quel caso fu necessaria una preventiva risoluzione delle Camere, senza la quale non sarebbe possibile rendere legittimo un provvedimento che sembra andare contro la nostra stessa Costituzione, che la all’articolo 11 dice: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.

Anche se la decisione sul piano normativo è legale, rimangono alcuni problemi di fondo – afferma Giorgio Beretta, ricercatore analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e difesa di Brescia, che condanna l'invasione militare dell'Ucraina da parte delle forze armate russe -. Innanzitutto dobbiamo ricordare che l’Italia negli anni scorsi ha inviato armamenti in Russia, anche dopo il 2014, anno in cui è entrato in vigore l’embargo di armi deciso a livello europeo per condannare l’intervento militare in Ucraina. Nonostante l’embargo, negli ultimi sette anni l’Europa ha continuato a esportare materiali bellici per 352 milioni di euro. Ciò dimostra che non è questo il modo per risolvere le crisi internazionali, come afferma la nostra Costituzione e ci pone un quesito sul ruolo diplomatico dell’Unione, di promozione della pace e della distensione”.

I dati ufficiali delle Relazioni annuali al Parlamento europeo riportano che dal 1998 al 2020 sono state autorizzate esportazioni di materiali militari dalla Ue all’Ucraina per quasi 509 milioni di euro e consegnati 344 milioni (con una crescita negli ultimi anni), mentre alla Federazione Russa ne sono stati autorizzati per ben 1,9 miliardi di euro e consegnati per 744 milioni di euro. Le aziende militari europee non disdegnano di fare affari sia con Mosca che con Kieve lo stesso avviene negli Stati Uniti. “Basta guardare l’andamento in Borsa delle aziende militari statunitensi – riprende Beretta -: sono le uniche che stanno guadagnando dalla crisi ucraina. Ma anche quelle italiane stanno crescendo. E questo ci dice quanto sia potente l’influenza del complesso militare negli Usa e nei Paesi europei”...

L'articolo di Patrizia Pallara segue su Collettiva.it

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