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Nei prossimi 5 anni bisogna spendere per la ricerca molto più di quanto programmato
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Immagine: R&S in percentuale PIL, Italia, Germania e Francia, 2008-2020. (Fonte: Istat-Eurostat)
L’ultimo Programma nazionale per la ricerca (PNR) ha posto obiettivi ambiziosi per portare la ricerca di base italiana a un livello di finanziamento decente. Gli ultimi tre governi hanno aumentato gli investimenti tentando di riportare l’intensità della R&S (l’investimento in rapporto al PIL) a livelli pre crisi. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) in fase di sviluppo rafforzerà questa tendenza ma la sua azione terminerà nel 2026: dopo quella data l’Italia dovrà trovare il modo di mantenere costanti gli investimenti per non diminuire l’intensità della R&S.
Sull’onda delle petizioni nate intorno alla proposta di Ugo Amaldi, sostenuta anche da Giorgio Parisi in più occasioni, la ministra dell’Università e della Ricerca, Maria Cristina Messa, ha convocato lo scorso aprile un tavolo tecnico per elaborare una strategia italiana in materia di ricerca di base.
I nove tecnici hanno analizzato le criticità del sistema italiano e hanno proposto un piano di risorse aggiuntive strutturali per rendere stabile l’investimento in ricerca anche dopo la conclusione degli interventi previsti da PNR e PNRR.
Tra le proposte un aumento di finanziamenti, la loro costanza, un aumento del personale, l’istituzione di una struttura che si occupi della valutazione dei progetti e dei risultati.
L’aumento del finanziamento della ricerca è il punto fondamentale: dalla crisi del 2008 la spesa pubblica ha subito una costante riduzione ed è scesa allo 0,55% del PIL per risalire solo negli ultimi tre anni allo 0,65%. Sommando la spesa privata si arriva a 1,46 del PIL, molto meno rispetto alle principali economie EU...