Mondo: il male e la libertà secondo Wojtyla

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"Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male": è questo il titolo, tratto dalla Lettera ai Romani, del messaggio di Giovanni Paolo II per la Giornata Mondiale della Pace per il 2005, che si celebra oggi in tutto il mondo. Si tratta di un titolo impegnativo, per un messaggio che ruota attorno a cinque questioni di fondo.

La prima è rappresentata dalla responsabilità personale di fronte al male. Contro ogni forma di fatalismo che tenderebbe a interpretare la presenza del male, con tutto il suo corollario di violenza e di sofferenza, come una costante invincibile della storia umana e contro quegli eccessi che interpretano il male principalmente come il prodotto di una volontà demoniaca contro la quale l'uomo può ben poco, il Papa afferma che "il male non è una forza anonima che opera nel mondo in virtù di meccanismi deterministici e impersonali", ma "passa attraverso la libertà umana" e "ha sempre un volto e un nome: quelli di coloro che liberamente lo scelgono". È un richiamo forte alla responsabilità del singolo, che ha il dovere, in ragione della propria libertà, di porsi il problema delle proprie scelte e del proprio atteggiamento di fronte alla possibilità di compiere il male o di restare spettatore passivo del male compiuto da altri.

La necessità di contrastare il male, quel "tragico sottrarsi alle esigenze dell'amore", non è però, ed è la seconda questione, uno specifico unicamente del cristiano. Il Papa esprime la convinzione che si possa riconoscere su questo versante una "grammatica della legge morale universale [⅀] che unisce gli uomini tra loro, pur nella diversità delle rispettive culture, ed è immutabile". Il Papa fa riferimento qui non solo ai drammi della Palestina e dell'Iraq e alla violenza terroristica, ma anche al continente africano, cui è dedicata nel messaggio un'attenzione particolare.

La terza prospettiva che emerge nel documento è costituita dal richiamo al dovere di rispettare e promuovere la persona umana. Tale promozione ha come fine quello di formare al bene tutti gli uomini, soprattutto le giovani generazioni, all'interno dell'"umanesimo integrale e solidale". Tralasciando i riferimenti che la definizione ha ereditato dalla filosofia cristiana del Novecento, è importante sottolineare i due cardini che la sostengono: la necessità di rispettare la persona in tutte le sue dimensioni, riconoscendone incondizionatamente tutti i diritti fondamentali; e la necessità di considerare che il bene della persona umana va costruito e raggiunto all'interno di una comunità umana solidale. Da qui la dura accusa alle visioni riduttive della persona, come quelle calpestano il bene comune o quelle che sono improntate unicamente alla ricerca del "benessere socio-economico".

Ne deriva, quarto, la riflessione sulla destinazione universale dei beni della terra. La "comunanza di origine e di supremo destino" che accomuna tutti gli uomini non solo sta alla base dell'appartenenza alla famiglia umana, ma "conferisce ad ogni persona una specie di cittadinanza mondiale, rendendola titolare di diritti e di doveri". Per questo la destinazione dei beni della terra non può essere stabilita sulla base di interessi personali o statali, ma su quella più ampia delle esigenze di tutta l'umanità, in particolare dei più poveri. Tale prospettiva, peraltro già indicata nel Concilio Vaticano II, non si realizza unicamente nel richiamo "all'amore preferenziale per i poveri", che tanta parte ebbe nella formazione della coscienza cristiana dell'America Latina, ma deve concretizzarsi in scelte precise sul piano economico e politico: quella, sulla quale si sofferma a lungo il Papa, di mettere fine al "circolo vizioso" del debito estero; o, ancora, quella di "imprimere nuovo slancio all'Aiuto Pubblico allo Sviluppo".

L'ultima prospettiva può essere riconosciuta, si potrebbe dire con un'espressione di Mounier, nell'"ottimismo tragico" che caratterizza il messaggio del Papa: "il male", che fa da sfondo drammatico a tutto il messaggio, "non prevarrà" e anche se nel mondo "è presente ed agisce il 'mistero dell'iniquità', non va dimenticato che l'uomo redento ha in sé sufficienti energie per contrastarlo". Per questo "nessun uomo, nessuna donna di buona volontà può sottrarsi all'impegno di lottare per vincere con il bene il male". Non è lecito per nessuno, insomma, lasciarsi andare alla rassegnazione, cedere alle lusinghe degli indifferenti, rifugiarsi nelle secche dell'intimismo, o illudersi che sia legittimo il ricorso alla violenza, ed è invece un dovere di tutti gli uomini lottare e resistere al male con il bene.

È dunque un messaggio ricco e complesso, al quale, forse, manca un solo passaggio. Quello della denuncia esplicita, non sottintesa, della guerra, che oggi rappresenta una tentazione diffusa nella lotta contro i propri nemici. L'assenza di questa denuncia rischia di lasciare aperte molte porte, soprattutto fra coloro che ritengono che nella storia non esista solo la contrapposizione fra bene e male, ma anche quella drammatica fra due mali. Il rischio è sempre quello di offrire ai fautori della guerra lo strumento per giustificarne l'uso, in nome di un bene che si presume di raggiungere con il ricorso alla violenza.

È ben vero che, nel suo complesso ma anche in molti passaggi specifici, il messaggio del Papa non lascia vie di scampo, ed è vero che esso stabilisce una stretta connessione fra il fine che si intende raggiungere e i mezzi legittimi, affermando in sostanza che il bene si raggiunge solo operando il bene: l'affermazione che "la violenza è un male inaccettabile che mai risolve i problemi" è inequivocabile. Ed è possibile che abbia inciso sulla scelta di non pronunciare una denuncia esplicita della guerra la necessità di tener conto di molti fattori, anche di carattere politico.

Ciononostante, di fronte al diffondersi delle teorie sulla guerra preventiva, di fronte al dramma infinito delle vittime innocenti dei conflitti attuali, la mancanza di una denuncia della guerra altrettanto chiara come quella della violenza ("la violenza distrugge ciò che sostiene di difendere: la dignità, la vita, la libertà degli esseri umani") è un po' un'occasione mancata. Soprattutto perché, di fronte alle grida e alle lacrime degli innocenti che ogni giorno e sotto tutti i cieli la guerra uccide, oggi più che mai c'è bisogno della parola sconvolgente, imperativa, alta e tagliente dei profeti.

di Alberto Conci - Commissione Giustizia e Pace di Trento

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