Mine: bando alle cluster e tagli dell'Italia allo sminamento

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Da Roma è stata lanciata la Campagna internazionale per una moratoria su uso, commercio e produzione delle cluster nel mondo. L'occasione è stato il convegno organizzato dalla Campagna italiana contro le mine in cui si è analizzato l'impatto delle cluster bomb, le bombe a grappolo che possono disperdere da un solo ordigno oltre cento submunizioni. La complessità del problema rappresentato dalle bombe cluster deriva dal fatto che è possibile conoscere solo l'area del lancio ma non la loro esatta ubicazione sul suolo. La disposizione casuale delle bombe e il loro interramento rendono quindi complesso e pericoloso ogni intervento di bonifica. Inoltre, gli ordigni sono strutturati in modo tale da rendere impossibile l'impiego dei mezzi meccanici di sminamento e, spesso, anche dei cani appositamente addestrati per la ricerca delle mine.Esistono vari tipi di bombe cluster. Le più potenti riescono a perforare a 15 metri di distanza una lamiera di acciaio di 125 millimetri o ad uccidere in un raggio di 150 metri. La maggior parte delle bombe cluster ha forme e colori tali da suscitare la curiosità di chiunque, adulto o bambino, sia ignaro della loro pericolosità.

In un dossier diffuso durante il convegno si apprende che tra l'ottobre 2001 ed il marzo 2002 in Afghanistan sono state sganciate circa 1.228 bombe cluster contenenti 248.056 submunizioni. Basandosi su un tasso di mancato funzionamento stimato del 5%, le cluster sganciate hanno probabilmente lasciato sul terreno più di 12.400 ordigni inesplosi innescati. Dall'ottobre 2001 al novembre 2002, almeno 127 civili e due sminatori sono rimasti uccisi o feriti da queste submunizioni. E se parliamo dell'Iraq si scopre che le forze armate della coalizione hanno sganciato circa 13.000 munizioni cluster, contenenti un numero di submunizioni compreso tra 1,8 e 2 milioni. Le statistiche ospedaliere mostrano infatti che l'uso di munizioni cluster ha causato centinaia di morti e feriti tra la popolazione civile a Baghdad, al-Hilla, al-Najaf, Bassora ed in altre località. Ma senza andare tanto lontano forse alcuni di noi le ricordano dal 1999, quando dei pescatori veneti rimasero feriti nell'esplosione di alcuni ordigni tirati su con le reti. Si trattava appunto di cluster bombs, sganciate nell'Adriatico dagli aerei americani in rientro dalle missioni in Kossovo.

Tra poco meno di due mesi, dal 29 novembre al 3 dicembre, si riuniranno a Nairobi, Kenya, i rappresentanti di più di 150 governi e di centinaia di organizzazioni non governative e agenzie specializzate delle Nazioni Unite e non, per celebrare la prima "conferenza di revisione" del Trattato di Ottawa, entrato in vigore poco più di cinque anni fa. A Nairobi l'Italia si presenta con una legislazione tra le più avanzate sui punti ritenuti più controversi del Trattato di Ottawa: la definizione di mina (quella della legge 374/97 è più ampia di quella internazionale), la proibizione di fornire "assistenza" a truppe alleate che facciano uso di mine e la limitazione del numero massimo di mine che si possono ritenere necessarie ai fini dell'addestramento e della ricerca. Ma a Nairobi arriviamo anche con le mani semivuote, a causa della drastica riduzione - di fatto il dimezzamento nella Finanziaria 2005 - dei fondi destinati alla lotta contro le mine attraverso il Fondo per lo Sminamento Umanitario.

Tra i 42 Stati che non hanno aderito alla messa al bando delle mine alcuni "grandi nomi" del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: Cina, Russia e USA; Paesi produttori ed utilizzatori quali India, Pakistan, Nepal, Birmania; e ancora tre dei 25 membri dell'Unione Europea: Finlandia, Lettonia e Polonia. Ma lo scorso 22 settembre una buona notizia arrivata dal ministero della difesa polacco con l'annuncio che, al termine di una revisione delle strategie militari del Paese, "non si vedono ostacoli alla ratifica da parte della Polonia del Trattato di Ottawa". La Polonia è uno stato firmatario dal 1997 ma finora non aveva proceduto alla ratifica per motivi strategici. Secondo fonti diplomatiche, il processo di ratifica potrebbe durare un paio di anni.

E è durato tre settimane l'arresto ingiustificato di Rafique al-Islam, ricercatore del Landmine Monitor e rappresentante in Bangladesh della Campagna Internazionale contro le mine. Rafique al Islam un ruolo fondamentale nel convincere il proprio Paese - il primo nell'Asia meridionale a farlo - a firmare e ratificare la convenzione di Ottawa. Proprio questo aspetto del suo lavoro (che ha comportato una intensa collaborazione con il precedente governo, responsabile dell'adesione al Trattato, e ora all'opposizione) pare essere alla base del suo arresto, il 21 agosto. Da allora per Rafique è cominciata un'odissea di quasi un mese di detenzione illegale, tra minacce e interrogatori, e senza che fossero formulate accuse a suo carico (solo negli ultimi giorni di prigionia il suo nome è stato aggiunto ad una causa istruita contro altri per possesso di armi, un'accusa chiaramente infondata). Rafique è tornato libero il 19 settembre, ma l'incubo non è ancora finito. Rimangono le accuse, assurde, a suo carico; continuano le "visite" della polizia a casa e in ufficio; rimangono le restrizioni alla libertà di movimento e i postumi di un periodo di grande stress che ha avuto pesanti conseguenze sulla sua salute. Ma il morale è alto. "Ho capito che se faccio del bene e lavoro per migliorare le condizioni dell'umanità, dovrò soffrire per un po', ma i risultati non potranno che essere eccellenti, e non sarò mai solo" - ha scritto Rafique dopo il rilascio. [AT]

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