Microcredito, non solo per il sud del mondo

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In Italia il fenomeno del microcredito è rimasto sottaciuto per parecchio tempo. Relegato ad essere un non-argomento, un’area economica inevitabilmente marginale, valvola di sfogo per pochi progetti sociali elitari che poco importano ai grandi gruppi bancari o alle gerarchie dei piani economici del Governo. Probabilmente una parte degli italiani si è accorta dell’esistenza del microcredito in Italia per via dei vociferati contributi volontari al fondo di garanzia del Movimento 5 Stelle, tanto proclamati quanto viziati, solo pochi mesi fa sulle prime pagine dei giornali. In realtà in Italia esiste già da parecchi anni un Fondo di Garanzia per le PMI, che grazie al decreto del Mise (Ministero dello Sviluppo Economico) 176/2014 ha esteso la sua incidenza alle concessioni di microcrediti. Per le operazioni destinate alla microimprenditorialità il Fondo prevede una garanzia diretta fino all’80% del valore dell’operazione finanziaria; non male per chi volesse avviare un’attività,o per tutte quelle associazioni o cooperative sociali che stimolano la microimpresa, dato che sostanzialmente non dovranno più preoccuparsi di presentare garanzie reali per i loro prestiti.

Prima di questa timida misura, la pratica del microcredito era ancora ampiamente trascurata, sebbene già normata dall’articolo 111 del Testo Unico Bancario, che ne definisce le caratteristiche, i soggetti finanziabili e gli organismi finanziatori. Secondo il TUB i microcrediti sono quei “prestiti di limitato importo con obbligo di restituzione, concessi in assenza di particolari garanzie a soggetti svantaggiati o in difficoltà economica, mirati al finanziamento di microimprese, alla creazione di occupazione (autoimpiego), al sostegno socio-assistenziale nonché agli studi, supportati da peculiari azioni di accoglienza, ascolto e accompagnamento”. La Commissione Europea ha definito l’ammontare massimo che identifica il microcredito in 10.000 euro per esigenze familiari (microcredito sociale) e 25.000 euro per l’avvio o lo sviluppo di attività imprenditoriali (microcredito imprenditoriale), e non sono richieste garanzie reali.

Detto questo,malgrado la limitata popolarità del microcredito in Italia, l’attualità ci dice che i piccoli prestiti nel Belpaese stanno letteralmente volando. Le statistiche dell’Ente nazionale per il microcredito dimostrano una curva ascendente senza precendenti dal 2016 al primo semestre del 2018.Considerando unicamente i dati dei 25 istituti bancari convenzionati con l’Ente a valere sul Fondo PMI (sezione microcredito), si scopre che le istanze di credito passano da 463 nel 2016 a 1.507 solo nei primi sei mesi del 2018, con una proiezione, prudente, di oltre 3000 nel 2018.I finanziamenti erogati crescono da 5,5 milioni di euro nel 2016 a più di 12 milioni di euro, mentre il numero di finanziamenti s’incrementa da 248 a 517 al 30 di giugno 2018, con tassi di crescita annuali superiori al 240% in entrambi i casi.

Il clima di sfiducia nei confronti del credito alle imprese sembra aver invertito rotta nel caso del microcredito.Grazie anche all’innovativa introduzione del servizio di tutoraggio, che sta dando i suoi frutti: il microimprenditore o aspirante tale fa domanda di prestito a uno degli istituti convenzionati e il Fondo di garanzia per le PMI interviene a tutela del rientro del finanziamento, riducendo rischi e prezzi, senza il ricorso ad altro tipo di garanzia. Le richieste vengono però assistite, prima, durante e dopo il finanziamento da Tutor specializzati (più di 300 su territorio nazionale), iscritti all’elenco dell’Ente. Questo spiega il miglioramento nel numero di richieste soddisfatte (68% della pratiche presentate, quando il 22% sono state ritirate per rinuncia del candidato) e una bassissima percentuale di default: solo lo 0,73% (rispetto a circa un 10% su scala nazionale).

Il microcredito dunque funziona, soprattutto nel Mezzogiorno, è capace di creare aziende sane e genera posti di lavoro (in media 2,43 a operazione). Gli istituti italiani si stanno affacciando anche a nuovi prodotti, quali il microhousing, microleasing e il microcredito per imprese sociali. Va detto, però, che i dati dell’Ente catturano solo una fetta del mercato della microfinanza nostrana, e le statistiche sullo stato dell’arte dei servizi di microfinanza su scala nazionale ancora scarseggiano. Gli attori che lavorano nei servizi di microfinanza sono infatti molti di più, dalle imprese di finanziamento specializzato alle cooperative sociale e ONLUS, in parte raggruppati nella Rete Italiana della Microfinanza (RITMI). Alcuni operano a livello nazionale, altri a livello locale, e il trend è in netta crescita.Si stima complessivamente che nel triennio 2011-2014 siano state presentate e valutate 77 mila domande, erogati 34 mila microcrediti per un totale di oltre 370 milioni di euro (di cui un 75% circa per fini produttivi). Solo nel 2014 sono stati stanziati 147 milioni di euro. Tra le realtà più sperimentate vanno citate PerMicro, Microcredito per l’Italia, Fondazione Giordano dell’Amore, cosí come gli esempi portati avanti da tante banche di credito cooperativo regionale e la stessa Banca Etica.

Tuttavia, da un altro lato, la forte espansione vissuta dal microcredito in Italia va amaramente di pari passo con l’aumento della povertà, visto il suo ruolo determinante nella lotta all’esclusione finanziaria, nel diritto all’iniziativa economica e in generale nella creazione di alternative agli esclusi dai servizi finanziari tradizionali (i cosiddetti "soggetti deboli" che nove volte su dieci non riescono ad aprire un canale bancario tradizionale, per l'assenza di garanzie). Secondo i valori più recenti dell’ISTAT le persone che vivono in uno stato di povertà assoluta nel nostro paese hanno sfondato quota 5 milioni (1,8 milioni di famiglie), pari all’8,4% del totale degli individui (6,9% per le famiglie), record registrato dall’inizio delle serie storiche nel 2005. Al Sud l’incidenza è maggiore e in aumento sia per le famiglie (da 8,5% del 2016 al 10,3%) sia per gli individui (da 9,8% a 11,4%). Aspetto che forse non è ripetuto abbastanza: la povertà è enormemente più diffusa tra gli stranieri, con 1,61 milioni di individui stranieri ne sono colpiti, pari al 32,3% (1 su 3). Per questo motivo tanti progetti di microcredito si rivolgono sì ai giovani startupper, alle donne imprenditrici e a chi ha per esempio perso il lavoro, ma mira a servire anche la popolazione di migranti, una tra le classi più vulnerabili del nostro paese.

Questo è uno dei tanti aspetti che indaga l’Osservatorio Nazionale sull’Inclusione Finanziaria dei Migranti. La banca dati dell’Osservatorio ha attestato che il processo di inclusione finanziaria dei cittadini immigrati è proceduto a ritmi sostenuti: l’indice di bancarizzazione, che misura la parte di popolazione immigrata adulta titolare di un conto corrente (presso una banca o BancoPosta), indica una percentuale di esclusi dal settore finanziario in costante diminuzione, dal 40% del 2010 al 25% nel 2017. Anche le imprese a titolarità immigrata, che rappresentano il9,4% delle imprese italiane, hanno fatto passi importanti,crescendo ad un tasso medio annuo dell’11%.

Sta iniziando a diffondersi la convinzione che la lotta all'esclusione sociale e finanziaria è sempre più un'intuizione vincente,oltre ad essere un business redditizio, per un Paese come l'Italia in cui la piccola, piccolissima e media impresa sono il vero motore dell'economia. Se però guardiamo in termini macro all’altro lato, cioè al versante delle piccole e microimprese, assistiamo purtroppo a un declino della produttività del lavoro, cioè quell’indicatore che misura il valore aggiunto per persona occupata. Un’indagine OSCE dimostra infatti che rispetto ai partner europei,mentre le imprese italiane da 50 a 249 dipendenti sono le più produttive d’europa, le piccole e microimprese italiane, da 1 a 9 impiegati, producono molto meno, e più precisamente la metà del valore generato di quelle inglesi per esempio (circa 40 mila dollari versus 82 mila). Sull’onda dei dati favorevoli del microcredito, il governo dovrebbe idealmente dare un occhio anche a questi dati, e iniziare a stimolare con più coraggio la crescita delle microimprese virtuose, produttive e sociali, che crescono e pagano imposte, verso un cammino che le porti ad essere il vero motore della crescita italiana.

Marco Grisenti

Laureato in Economia e Analisi Finanziaria, dal 2014 lavoro nel settore della finanza sostenibile con un occhio di riguardo per l'America Latina, che mi ha accolto per tanti anni. Ho collaborato con ONG attive nella microfinanza e nell’imprenditorialità sociale, ho spaziato in vari ruoli all'interno di società di consulenza e banche etiche, fino ad approdare a fondi d'investimento specializzati nell’impact investing. In una costante ricerca di risposte e soluzioni ai tanti problemi che affliggono il Sud del mondo, e non solo. Il viaggio - il partire senza sapere quando si torna, e verso quale nuova "casa" - è stato il fedele complice di anni tanto spensierati quanto impegnati, che mi hanno permesso di abbattere barriere fuori e dentro di me, assaporare panorami, odori e melodie di luoghi altrimenti ancora lontani, appagare una curiositá senza fine. Credo in un mondo più sano, equilibrato ed inclusivo, dove si possa valorizzare il diverso. Per Unimondo cerco di trasmettere, senza filtri, la veritá e la sensibilità che incontro e assimilo sul mio sentiero.

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