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Ma i neri possono arrampicare?
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Foto: Unsplash.com
Nel periodo di quarantena che abbiamo recentemente attraversato molte realtà che appartengono al mondo della cultura come musei, festival e associazioni hanno messo a disposizione online e gratuitamente materiali e prodotti, per permettere a chi è stato costretto per molte ore tra le mura di casa di regalarsi qualche momento di piacevole svago e di approfondimento. Tralasciamo le questioni di non facile approccio che apre questo capitolo, che hanno a che fare da un lato con le effettive possibilità di connessione e con gli strumenti tecnologici che rendono l’accesso a download e streaming possibile e, dall’altro, con il trasferimento online, tutt’altro che scevro da complicazioni, di un mondo che per lo più si definisce e si alimenta invece attraverso lo stare insieme e la condivisione in presenza. Nelle righe che seguono vogliamo concentrarci su un altro aspetto: l’opportunità che ci viene data di scoprire nuove realtà, nuove storie e nuovi paesaggi che altrimenti non ci saremmo dati il tempo di scovare.
Come per esempio la storia di BOC, che si legge bi-ou-si. Brothers Of Climbing, sono loro i BOC, sportivi o aspiranti tali nati da una comune domanda: ma anche i neri arrampicano? Già, perché la loro storia comincia proprio da lì: dalla passione di singole persone che si sono chieste come mai, nel mondo delle scalate e del boulder, appaiano così di rado – per non dire mai – persone di colore. Significa che quello di corde e nuts, rinvii e sicure è uno sport solo per bianchi? Significa che neri o asiatici non sono in grado di praticarlo? Domande che forse, una volta scritte nero su bianco (!) su un foglio appaiono pretestuose, come se volessimo stare lì a cercare il pelo nell’uovo ovunque, a vederci del razzismo anche nello sport. Suvvia, la forza di gravità non discrimina, è ovvio che anche i neri possono arrampicare! Ehm… ma ne siamo così sicuri?
Il fatto che alcuni di loro si siano posti più di una volta questa domanda, qualcosa ci deve suggerire, soprattutto in tempi come questi dove il mondo si inginocchia all’unisono urlando #icantbreathe: se cresci pensando che alcune possibilità ti siano negate, per natura o per contesto, difficilmente riuscirai a immaginarti un futuro di motivazioni e passioni diverso dal presente nel quale ti sei tuo malgrado trovato a vivere.
Mikhail Martin poteva essere una di queste persone, uno che pensa che “tanto non si può fare”, perché nessuno lo fa. Persino cercando su Google, che è quello che davvero ha fatto, climber di colore non se ne trovano poi tanti.
E invece. Mikhail diventa uno dei cofondatori di BOC. Già, perché basta mettere il naso nella palestra di arrampicata del quartiere (che poi, se vivi in un quartiere povero, nemmeno è scontato che una palestra ci sia) per trovare un altro ragazzo di colore. Poi un altro ancora, all’inizio sono guardinghi, timorosi di essere fuori luogo, ma anche convinti di stare nel posto giusto. I BOC nascono così, quasi per scherzo, sono in pochi e si riconoscono subito, si sentono fratelli. Presto però si aggiungono altri ragazzi e ragazze, che li raggiungono da ben oltre il confine dell’isolato dietro casa. Perché se nessuno si interroga, nessuno trova risposte. E loro le risposte le trovano nel gruppo che si sta creando, che offre un contesto di supporto e che rassicura, facendoli sentire pronti a lanciarsi in una sfida che li coinvolge e li attrae: a stare insieme si impara più in fretta, si migliora la tecnica e si acquisisce fiducia.
Qualcosa che sembrava impossibile diventa possibile. E dall’arrampicata alla pizza dopo l’allenamento alla costituzione dell’organizzazione il passo è breve, come spesso dev’esserlo in parete: Brothers Of Climbing nasce a Brooklyn (NY) qualche anno fa con l’obiettivo di promuovere l’integrazione e l’inclusione nella comunità dei climbers, nell’arrampicata e più in generale negli sport outdoor, a maggior ragione quando la maggior parte dei partecipanti vive in ambiente urbano. Se vi fa piacere spendere poco meno di 10 minuti, su YouTube potete vedere con i vostri occhi la potenza di un messaggio così intuitivo e immediato.
Insomma, non solo calcio, atletica e basket per chi ha la pelle scura. Quella degli arrampicatori è una community aperta e accogliente, ma negli ultimi anni sempre più costosa (basti solo pensare ai prezzi dell’attrezzatura) e a volte forse un po’ distratta, chiusa nei propri codici comportamentali e comunicativi oppure un po’ troppo assorta, gli occhi puntati alle pareti anche quando i piedi sono a terra. Ecco perché BOC fa qualcosa di necessario e importante: ricorda a tutti noi che lo sport ha senso solo se è un’opportunità che non dipende dall’etnia, dal colore della pelle e dalla cultura, ma che punta, soprattutto nel mondo dell’arrampicata e del boulder dove il compagno non è solo qualcuno con cui condividere un gesto atletico ma il più delle volte è essenziale alla sopravvivenza di entrambi, al divertimento – che è d’obbligo – e a una comunicazione e a una condivisione senza muri. Tranne quelli da scalare, of course.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.