Le due Americhe delle armi

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Foto: Unsplash.com

Da domani, sabato 16 gennaio, è allarme sicurezza in tutti gli Stati Uniti. “Proteste armate sono in programma in tutte le 50 capitali di Stato e al Campidoglio di Washington da questo fine settimana fino a mercoledì 20 gennaio giorno dell’Inaugurazione del presidente eletto, Joe Biden” riporta un bollettino interno dell’FBI diffuso dalla rete televisiva ABC News. L’FBI avrebbe ricevuto informazioni anche riguardo a milizie armate di destra che minacciano di “prendere d’assalto” i tribunali e gli edifici governativi nel caso in cui il presidente Donald Trump venga rimosso dall’incarico prima del giorno dell’inaugurazione.

Già da ieri il Pentagono ed i governatori del Maryland, della Virginia e di altri Stati hanno inviato più di 15mila soldati della Guardia Nazionale nella capitale degli Stati Uniti: un contingente da zona di guerra che supera il numero di soldati impiegati in Afghanistan e in Iraq, notano i media nazionali. Si vuole evitare di ripetere l’errore del 6 gennaio scorso quando i manifestanti hanno fatto irruzione nel palazzo del Congresso a Capitol Hill durante la cerimonia di certificazione del voto presidenziale in favore del presidente eletto Joe Biden. In quell’occasione furono cinque i morti tra quali l’agente Brian Sicknick, 42 anni, da dodici anni in servizio al Congresso.

L’assalto a Capitol Hill e i gruppi “pro-armi”

L’assalto al Campidoglio dello scorso 6 gennaio, a seguito del discorso del presidente Donald Trump che ha incitato i suoi sostenitori a marciare su Capitol Hill, è stato sostenuto da gruppi cospirazionisti legati a QAnon e ai Proud Boys, due fazioni estremiste di destra che il presidente Donald Trump ha ripetutamente rifiutato di condannare durante la campagna elettorale. Ma, come riporta la CNN – è stato sostenuto anche da gruppi di cosiddetti “difensori del diritto alle armi”.

Oltre al personaggio vestito di pelle e col copricapo con le corna, Jake Angeli, lo “sciamano di QAnon”, vi era infatti anche Richard "Bigo" Barnett, leader di un gruppo “pro-armi” di Gravette, Arkansas. E’ lui che ha fatto irruzione nell’ufficio della Presidente della Camera, Nancy Pelosi e si è seduto sulla sedia mettendo le gambe e le scarpe sulla scrivania per poi lasciare un messaggio su un foglio: “Nancy, Bigo è stato qui, b*tch”. Ad identificare Barnett sono stati alcuni media dell’Arkansas tra cui “Eagle Observer” che hanno anche pubblicato foto e video dell’uomo, noto proprio per essere il promotore di un gruppo locale di “difensori del Secondo Emendamento”.

Come riporta il New York Times, immediatamente dopo l’assalto al Congresso la Polizia ha sequestrato ai manifestanti almeno 5 armi tra pistole e fucili: erano tutte di persone provenienti da Stati dove le leggi sulle armi sono più permissive rispetto al distretto di Columbia. Una dettagliata indagine di “The Trace” riporta che, prima e dopo la rivolta, almeno otto persone sono state accusate di possesso illegale di armi. “Lo spettro delle armi era ovunque – evidenzia “The Trace”: sulle bandiere sventolate dai rivoltosi, nella teoria insurrezionalista che sostenevano e sull’equipaggiamento tattico che indossavano”. “L’assalto al Campidoglio non sarebbe potuto avvenire senza l’apporto della lobby delle armi” – ha dichiarato Kris Brown, presidente dell’associazione per il controllo delle armi “Brady, United Against Gun Violence”.

L’America chiede leggi più restrittive sulle armi

La retorica del “diritto alle armi”, sostenuta dalla National Rifle Association (NRA), la potente lobby armiera, è diventata un elemento fondamentale dei movimenti estremisti della destra americana. Ma la gran parte dei cittadini americani è stanca di questa retorica e chiede norme più severe sulle armi. Lo riporta la recente indagine del Gallup che dal 1990 svolge sondaggi su questa materia. Il 57% degli americani è favorevole a leggi più restrittive sulle armi, il 34% ritiene che vadano bene quelle esistenti e solo il 9% invoca norme più permissive. Nonostante un calo di 7 punti percentuali rispetto all’anno precedente, la gran parte degli americani giudica tuttora positivamente l’introduzione di maggiori controlli sulla detenzione di armi.

Il tema, come noto, contrappone chiaramente i due schieramenti politici: mentre l’85% degli elettori del partito democratico chiede norme più restrittive, solo il 22% dei repubblicani è favorevole; un divario mai così ampio negli ultimi 20 anni, segno di una frattura che Trump ha allargato. E’ soprattutto l’America rurale quella che ancora sostiene le norme attuali sulle armi, mentre la maggioranza delle donne, dei democratici e indipendenti, della popolazione urbanizzata e della East and West coast è favorevole a leggi più severe sulle armi.

Joe Biden e le armi

A causa delle problematiche legate alla pandemia da coronavirus e delle questioni di giustizia razziale il tema della diffusione delle armi è rimasto ai margini della campagna elettorale presidenziale. Ma Joe Biden non ha mancato di evidenziare il suo impegno per introdurre maggiori controlli e restrizioni sulle armi. Durante la campagna elettorale, Biden ha affermato di “aver sfidato per due volte la NRA e di aver vinto”. Il riferimento è due provvedimenti legislativi che lo videro protagonista in parlamento: il “Brady Handgun Violence Prevention Act” del 1993 e il “Federal assault weapons ban” del 1994. Il primo istituì un sistema nazionale di controllo dei precedenti penali da parte dei rivenditori di armi sugli acquirenti, mentre il secondo ha vietato per dieci anni la vendita di fucili d’assalto semiautomatici e di caricatori ad alta capacità.

La NRA, con la consueta e ormai desueta retorica, nei giorni precedenti alle elezioni aveva accusato i candidati democratici alla presidenza, Joe Biden e Kamala Harris, di voler “demolire il Secondo emendamento”, di voler “distruggere l’industria americana delle armi da fuoco” e, ovviamente, di voler “attaccare i proprietari di armi rispettosi della legge”.

Il neo eletto presidente Biden ha voluto ribadire il suo impegno per controlli più rigorosi sulle armi in occasione del decimo anniversario della sparatoria di Tucson (Arizona) in cui un giovane di 22 anni legale detentore di armi, Jared Lee Loughner, uccise 6 persone e ne ferì altre 14, tra cui la deputata democratica Gabrielle Giffords. La deputata, che era il principale bersaglio di Loughner, fu gravemente ferita da un proiettile che le trapassò la testa. Ristabilitasi dopo una lunga convalescenza, l’ex deputata ha fondato l’associazione “Giffords” per promuovere il controllo delle armi e contrastare la propaganda e le iniziative della lobby delle armi, in particolare della NRA.

Lo scorso 8 gennaio con un tweet, Joe Biden ha espresso alla Giffords la propria vicinanza e rinnovato l’impegno per il controllo delle armi: “Mi impegno a continuare a lavorare con voi – e con i sopravvissuti, le famiglie e i sostenitori di tutto il paese – per sconfiggere la NRA e porre fine alla nostra epidemia di violenza armata”. Un impegno al quale milioni di americani guardano con attenzione ed auspicano si realizzi presto per porre almeno un argine alle stragi e alle violenze che continuano a diffondersi grazie a leggi troppo permissive sulle armi. Che hanno fatto degli Stati Uniti un paese in perenne guerra con se stesso.

Giorgio Beretta
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