Le ambiguità della “Génération Bataclan”

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All’indomani delle stragi di Parigi il quotidiano francese Libération proponeva un’edizione speciale dal titolo “Génération Bataclan”: infatti al teatro Bataclan, luogo della peggiore carneficina, c’erano per lo più giovani “festaioli, aperti, cosmopoliti”, secondo gli aggettivi utilizzati come sottotitoli del giornale. La copertina è stata rilanciata dai maggiori circuiti informativi del mondo ed è diventata presto l’istantanea di una generazione di giovani europei.

È sempre rischioso proporre generalizzazioni per descrivere qualsiasi fenomeno. Ancora di più quando l’oggetto riguarda un gruppo sociale che possiede al suo interno grandi differenze, impossibili da ridurre in categorie ben precise e stabilite una volta per tutte. Tuttavia siamo quasi spinti a tentare di comprendere la realtà attraverso griglie interpretative al fine di aiutarci a decifrare un mondo accelerato e complesso. L’alternativa sarebbe quella del rifiuto di qualsiasi “narrazione” del tempo presente che, a mio avviso, invece presenta caratteri peculiari, degni di essere sviscerati e raccontati.

Ancora più difficile trovare una sintesi in pochi aggettivi su una categoria, quella dei “giovani”, che a sua volta è stata inventata pochi decenni fa e che ha trovato nel dopo guerra la sua completa affermazione. Irrefrenabile però  il susseguirsi delle generazioni  etichettate: quella del “baby boom”; quella dei “figli dei fiori” che andavano in India e che volevano fare la rivoluzione; quella, in Italia, degli “anni di piombo” poi degli spumeggianti anni 80 (di cui però Paolo Morando nel suo recente libro ci dà un altro spaccato); la generazione Erasmus, quella dei “nativi digitali”; infine quest’ultima, segnata dal terrorismo, da internet e dall’insicurezza esistenziale e globale.

E così ai tre aggettivi scelti da Liberation si potrebbe aggiungere tante altre parole: sempre connessi, poliglotti, avulsi completamente da una dimensione religiosa, plurilaureati, ricercatori, curiosi, privi di orizzonti stabili, precari da ogni punto di vista. Meno benestanti dei genitori ma soprattutto con meno possibilità concrete di trovare la propria strada. L’età per essere giovani si prolunga; presto si arriverà ai cinquanta.

Si è fatta molta retorica intorno alle giovani vittime del Bataclan tra cui la ricercatrice italiana Valeria Solesin. Qualcuno ha rifiutato decisamente l’etichetta del quotidiano Liberation: quella generazione, se così si può dire, non è felice. Forse ignara dei cambiamenti in atto, benchè abbia molto spesso girato il mondo.

Sicuramente è la generazione del web, ma forse meglio della disillusione del web. I servizi di comunicazione, ormai pressoché completamente gratuiti, possono dare l’illusione di essere in contatto con tutto il mondo: con tre o quattro chat funzionanti in contemporanea, puoi avere l’ebbra sensazione  di poter parlare da Pechino a New York, da Oslo alla casa di fronte. Essere in contatto e tenere tutto sotto controllo. Essere pienamente parte della globalizzazione. Sappiamo che così non è.

Nei discorsi dei leader europei più “illuminati” (non parliamo dei pericolosi nazionalisti ormai presenti ovunque) non manca mai, ma proprio mai, un accenno al programma Erasmus, cioè la possibilità per gli studenti universitari di poter passare alcuni periodi di tempo in altri atenei europei e di fare esami poi riconosciuti per il proprio curriculum. Erasmus sembra essere diventato l’ultima vestigia di un sogno europeo ormai frantumato, diventato incubo, foriero di presagi nefasti. Erasmus era l’emblema della nuova Europa senza più confini, in cui i giovani del continente potevano fare esperienze nuove, stimolanti, promettenti, capaci di generare idee positive, all’avanguardia, razionali e pacifiste. Il mondo sarebbe stato sicuramente migliore. Internet poi sembrava un Erasmus all’ennesima potenza. Con i social network ogni barriera divelta… Tutti potevano sperare di trovare amicizie, amori, lavoro in Rete.

Forse sono stati proprio i giovani ad accorgersi per primi che così non è. Che anche il progetto Erasmus non serve a nulla se si erigono muri per non accogliere migranti, se i politici cercano il consenso immediato, se la precarietà occupazionale è la regola, se i legami sentimentali sono fragili, se i titoli accademici non servono a nulla come non serve avere amici (virtuali) sparsi ovunque, se terroristi possono arrivare facilmente nel cuore di Parigi. Così purtroppo negli stessi giovani si vedono tendenze opposte: xenofobia, diffidenza, angoscia, fanatismo.

I giovani stessi potrebbero rifiutare recisamente ogni etichetta. Perché altre sono le priorità, forse i sogni. Magari banali, magari simili a quelli dei loro padri o nonni. Desideri di stabilità, comunità. Purtroppo e con un paradosso il mondo tende invece alla disconnessione, al conflitto tra diversi, alla barbarie diffusa, alla corsa disperata a salvare se stessi. 

Piergiorgio Cattani

Nato a Trento il 24 maggio 1976. Laureato in Lettere Moderne (1999) e poi in Filosofia e linguaggi della modernità (2005) presso l’Università degli studi di Trento, lavora come giornalista e libero professionista. Scrive su quotidiani e riviste locali e nazionali. Ha iniziato a collaborare con Fondazione Fontana Onlus nel 2010. Dal 2013 al 2020 è stato il direttore del portale Unimondo, un progetto editoriale di Fondazione Fontana. Attivo nel mondo del volontariato, della politica e della cultura è stato presidente di "Futura" e dell’ “Associazione Oscar Romero”. Ha scritto numerosi saggi su tematiche filosofiche, religiose, etiche e politiche ed è autore di libri inerenti ai suoi molti campi di interesse. Ci ha lasciati l'8 novembre 2020.

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