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La vita arriva con la cicogna? No, con i gabbiani!
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Foto: Ralph Katieb da Unsplash.com
Un’isola giovane, con appena 60 anni di vita. Emersa al largo delle coste dell’Islanda, l’isola di Surtsey raccoglie indizi di un mistero che ci affascina e ci riguarda da vicino, anche se ci riporta a tempi molto lontani, quando ancora non esistevamo. Ecco, appunto: come appariva la Terra quand’era appena nata? Com’è arrivata la vita a colonizzare la nuda roccia?
Nel 1963 un vulcano ha eruttato sotto le profonde e gelide acque dell’Atlantico del Nord, circa 16 km al largo della costa sud occidentale dell’Islanda. L’eruzione è durata 4 anni. Alla fine la lava e le ceneri si sono raffreddate in una scura isola chiamata Surtsey e i primi fragili semi di vita nuova hanno iniziato ad arrivare sulle sue coste.
Ogni anno da quando l’isola è nata gli scienziati hanno monitorato la sua evoluzione ecologica e lo sviluppo di nuove forme di vita: e ad oggi gli scienziati sono gli unici che possono avvicinarsi all’isola, proprio per preservarla da incursioni esterne (turisti, appassionati, fotografi, etc.) che potrebbero intaccare l’integrità ecologica di questo ecosistema in formazione e in continuo mutamento. Sull’isola al momento esistono solo due costruzioni, la capanna base dei ricercatori e le fondamenta abbandonate di un faro.
Anche se la maggior parte dell’isola è brulla, una macchia verde a sudest manifesta una crescita lussureggiante e ospita centinaia di nidi di uccelli: le prime specie a presentarsi su questi lidi nel 1970 furono il Cepphus grylle (Uria nera), un uccello marino della famiglia degli alcidi che vive nel nord dell’emisfero boreale.
Grazie alle annuali visite degli scienziati sull’isola si è potuta disegnare una linea del tempo che racconta l’andamento della colonizzazione di piante, uccelli e specie di insetti. La prima pianta a colonizzare l’isola nel 1965 è stata la Cakile maritima (Ravastrello o Razzo di mare) arrivata prima ancora che l’isola stessa fosse completamente formata.
Nei decenni successivi sono arrivate circa altre 20 specie di piante, alcune portate dal vento, altre dalle zampe o dagli stomaci degli uccelli, a cui si sono aggiunte altre specie dalle abitudini pelagiche, come ad esempio la Rissa tridactyla (Gabbiano tridattilo) e il Fulmarus glacialis (Fulmaro), che ama crescere le sue covate su scogliere marine, in buche su scarpate inaccessibili dalle quali pattugliare le onde per procurarsi il cibo. È stato solo però dalla metà degli anni ‘80 che la biodiversità vegetale e animale ha messo una marcia in più. E lo ha fatto grazie all’arrivo degli umili e comuni gabbiani.
Darwin sosteneva che le piante potessero colonizzare le isole se i loro semi avessero superato il mare fluttuando sulle onde o grazie al vento. Ma per raggiungere le coste di Surtsey alcuni semi avevano bisogno di un aiuto in più. La biodiversità vegetale intorno agli anni ’70 era costituita da circa una 20ina di specie che più o meno sono rimaste tali fino al 1986 quando si è sviluppata la prima colonia di gabbiani che non solo ha portato con sé nuove tipologie di semi, ma anche un guano ricco di azoto e dal potere altamente fertilizzante che ha permesso la crescita di prati che, nel 2013, coprivano circa 12 ettari di isola a favore dell’aumento non solo della biodiversità (nel 2007 le specie di piante erano già diventate 64) ma anche della biomassa in quell’area (di ben 5 volte maggiore rispetto al resto dell’isola).
Grazie a queste condizioni, è iniziato lo sviluppo di una rete alimentare molto più complessa, che ha visto comparire insetti come collemboli, scarafaggi e falene e dunque anche altri uccelli che si nutrono di insetti, come lo zigolo delle nevi (Plectrophenax nivalis), la ballerina bianca (Motacilla alba) e la pispola (Anthus pratensis).
Certo, a quasi 60 anni di età l’isola è ancora un neonato a livello geologico rispetto, per esempio, alle sorelle dell’arcipelago Westman che hanno alle spalle circa 40.000 anni di storia evolutiva. I ricercatori sono convinti che gran parte dell’isola verrà erosa dalle forti correnti del nord dell’Atlantico, che si sono già prese circa metà della dimensione originaria: quello che resterà potrebbe assomigliare nel tempo alle altre isole, trasformandosi in ripide scogliere dove le gazze marine nidificheranno assieme ai fulmari già presenti. Sui pochi altipiani ci saranno prati con meno specie e probabilmente saranno le pulcinelle di mare (Fratercula arctica) a costruire lì i loro nidi tra un paio di secoli.
Per ora i ricercatori descrivono l’isola di Surtsey come un ambiente vivente che attraversa la sua età dell’oro, che ospita non solo un’elevata biodiversità di specie vegetali (pur se già all’inizio del declino) e animali, ma che è diventata anche un’utile pit stop Atlantico per alcuni uccelli migratori. I giapponesi direbbero wabi sabi: nulla è perfetto, nulla dura, nulla è concluso. E per quest’isola giovane e ricca di fascino e indizi sembra in questo caso espressione molto azzeccata.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.