www.unimondo.org/Notizie/La-sostenibilita-e-donna-226156
La sostenibilità è donna?
Notizie
Stampa

Foto: Unsplash.com
l mese di marzo è favorevole ai dibattiti che riguardano le donne: dalle mimose alla violenza, dalla primavera alla moda, dalle discriminazioni attuali a quelle ripercorse nella storia delle ricorrenze, le donne sono protagoniste, spesso anche loro malgrado, di molte conversazioni pubbliche e private. Una di queste, a torto scarsamente considerata dati i tempi che stiamo attraversando, è quella che riguarda le donne e la sostenibilità. E che parte da una domanda la cui risposta non è affatto scontata: la sostenibilità è una questione di genere?
Si tratta di un interrogativo in realtà molto più articolato, che ha a che vedere con il cosiddetto ecogender gap, un termine entrato in voga di recente per riferirsi alla realtà delle problematiche ambientali nell’ottica di una prospettiva, appunto, di genere. Tradotto: alle donne importa di più dell’ambiente?
Dal punto di vista del marketing, diversi studi sulle politiche di consumo responsabile trovano le donne più attente all’acquisto di prodotti con filiera trasparente e diritti messi in chiaro, nonché più coscienziose nell’adozione di abitudini sostenibili (per fare un esempio, in Gran Bretagna siamo al 71% di donne che hanno dichiarato di aver migliorato il loro impegno per uno stile di vita più etico, contro un 59% di uomini). Non è però altrettanto immediato il riscontro che le donne siano più coinvolte nell’attivismo ambientale dal punto di vista della psicologia climatica, che pure implica valori di cura, attenzione per il futuro e capacità di percezione del rischio tipicamente associati all’universo femminile, o per esempio l’attenzione alle cause e alle conseguenze del cambiamento climatico, delle quali il genere femminile appare più consapevole.
Marketing e psicologia sono ambiti tangenti e a volte comunicanti nel tentativo di interpretare una realtà complessa che comunque va contestualizzata per la molteplicità delle variabili contemplate, tenendo anche conto del fatto che spesso i risultati emergono da autodichiarazioni in fase di questionario (e quindi rilevano intenzioni che psicologicamente tendono a volerci fare apparire più forti di quanto non lo siamo poi in realtà) e meno da studi che riguardano lo studio dei comportamenti concreti messi in atto.
Uno studio condotto dall’Istituto di management Sant’Anna di Pisa, concentrandosi sul ruolo delle eco-etichette nel guidare il consumatore nelle proprie scelte d’acquisto, ha esaminato l’impatto di questo tipo di comunicazione sul conseguente cambiamento indotto nel compratore e ha rilevato, attraverso metodo quantitativo applicato a un ampio bacino di consumatori italiani, l’importanza dell’etichetta nell’aumento del controllo percepito in termini di comportamento etico, rispetto per esempio alla fedeltà a un determinato marchio, che appare meno rilevante. I risultati della ricerca «Why Eco-labels can be Effective Marketing Tools: Evidence from a Study on Italian Consumers» portano inoltre a isolare tre variabili statisticamente più incisive: la prima, legata anche al mondo delle certificazioni, è quella che la scelta di un certo prodotto determini un correlato beneficio per l’ambiente; la seconda è la questione di genere, per cui il genere femminile può influenzare positivamente la scelta d’acquisto; la terza è il costo, che incide sulla possibilità e sulla volontà di acquistare un determinato prodotto. Ciò non comporta un adattamento delle etichette e dei prodotti a un target solo femminile, anzi: dal mercato delle auto a quello della cosmesi e della moda, le campagne pubblicitarie sono orientate a sensibilizzare anche il pubblico maschile.
La trasversalità degli obiettivi è quello a cui punta anche la Sustainable products initiative del Green deal europeo, che mira a rendere i prodotti presenti sul mercato europeo più sostenibili, puntando anche a istituire un passaporto digitale dei prodotti (dpp) che raccolga dati sulla filiera di valore e dia la possibilità al consumatore di verificare all’istante le caratteristiche del prodotto.
Un gap di genere che però, se da un lato sembra facilmente assottigliarsi anche grazie alla digitalizzazione, dall’altro sconta ancora pregiudizi legati alla virilità: evitare o addirittura opporsi a comportamenti sostenibili preserverebbe la mascolinità ed eviterebbe di essere considerati effeminati (si vedano le interessanti considerazioni emerse dalla ricerca della Penn State University uscita sulla rivista «Sex Roles»). Retaggi conservatori che le nuove generazioni potrebbero auspicabilmente spazzare via, alla luce della fluidità di genere che delinea una concezione maggiormente flessibile dei ruoli e dei valori. Un fatto è certo: l’evoluzione della società è lenta, ma sempre più uomini e donne, rispetto agli scorsi anni, tendono a diventare più coscienziosi sia come consumatori che come attivisti, e questo rappresenta senz’altro un barlume di speranza.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.