La montagna scelta

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La grandezza di una persona passa attraverso il tempo delle scelte.” L’incontro è cominciato da pochi minuti, ma Paolo Cognetti non temporeggia l’affondo delle parole. Nelle battute d’apertura accoglie il regalo di Mauro Corona, che gli porge un set di quaderni (“quelli che usa anche Erri”, e qui forse dovremmo mettere un NdR, una nota del redattore che specifica che “Erri” è lui, Erri De Luca, altro uomo di montagne e pagine, una presenza amica non solo per chi lo conosce e ne condivide i passi sulle rocce, ma anche per chi lo legge con vicinanza di cuore). Gli consegna anche un coltello da montagna, di quelli utili per intarsiare e farsi strada, di quelli che in cambio ti do un centesimo, per evitare che “tagli l’amicizia. Nelle battute d’apertura Paolo cita Ettore Castiglioni, uno dei fari a cui puntare quando si perde la bussola dei sentimenti e dei sentieri; commenta che “nessun alpinista può essere fascista” perché la montagna è anche luogo di coscienza politica e civile; coglie l’occasione per soffermarsi su un paio di aneddoti che che rendono tangibile e presente la nostalgia per un altro grande alpinista, l’uomo Rigoni Stern.

Tra i 12 semifinalisti del Premio Strega ma affezionato a contesti più raccolti e defilati, Paolo Cognetti, ospite della 65esima edizione del Trento Film Festival, è scrittore da diversi anni, ma le conseguenze della vita lo hanno portato a parlare di montagna in tempi più recenti, esponendolo alle pressanti attenzioni di media e lettori per cui il suo ultimo lavoro edito da Einaudi, Le otto montagne, non è passato inosservato. Vita o letteratura? Autobiografia o romanzo? “Io sono uno di quelli che sentono il bisogno di mischiare la vita con l’invenzione”, i luoghi, i genitori, i ricordi d’infanzia sono veri, ma il libro suscita l’affetto dei lettori forse proprio perché segue le onde della narrativa e non rimane storia individuale, ma si fa storia di tutti, in cui ciascuno può riconoscersi e appropriarsi di pezzettino.

E proprio dal libro si dipanano opportunità di sfiorare più di un tema sensibile. A partire dalla dialettica città-bosco: Paolo ha vissuto per molti anni a Milano (“città che però non mi fa sentire particolarmente a casa per le emozioni che mi suscita quando torno”) e ama l’ecletticità di lingue e prospettive di una città come New York, ma vive dove vicino a casa abitano i larici prima delle persone. Cognetti coglie l’aggancio per attentare senza falsità all’immagine pura e immacolata di una montagna ricca di cultura e saggezza: no, a volte l’impoverimento della biodiversità emotiva, culturale, umana è desolante anche sulle pendici, e non possiamo nasconderci dietro un bucolico primordiale paesaggio di buoni sentimenti. La montagna è fatta anche di razzismo, maschilismo e chiusura, e proprio questo rende necessario un impegno a “ricoltivarla come un prato troppo inselvatichito, organizzando Festival come quello di Trento, ma anche occasioni nuove in cui sperimentarsi e credere, come il Festival “Il richiamo della montagna” che sta organizzando per il prossimo luglio vicino a casa sua.

Insomma, Cognetti lo chiamano “nuovo montanaro”, di quelli senza internet ma con un blog, che lasciano la città per rifugiarsi altrove. In effetti, un po’, la montagna un rifugio lo è, un rifugio per chi tira fuori la creatività spurgata dalla crisi, un rifugio per chi costruisce ricordi e riprende in mano la propria memoria, ripercorrendo un’infanzia di ribellione verso il padre e “quella fatica di cui non si capisce la ragione” che è l’andar per sentieri quando si è piccini e ancora non è un’avventura, una scelta, un’emozione ma si spegne nel dovere di accompagnare i genitori. E an tage wie diese, come cantano Die Toten Hosen, la spinta più forte è guardarsi indietro, anche alle soglie dei 40 anni, perché si rimane figli più a lungo di un tempo davanti a un futuro imballato nell’incertezza. E allora, forse, anche questa vocazione alla ribellione – seppur tardiva - riavvicina alla montagna, che nella storia ha accolto eretici e partigiani ed è stata testimone della nascita di piccole comunità che si sono create all’insegna anche dell’accoglienza. Perché sì, lo si può ben a cuore gonfio condividere, “la montagna è luogo buono per i matti”.

Ed è anche luogo buono per far nascere e ribollire - e a volte un po’ sopire - le contraddizioni dentro chi la ama, non solo come temporaneo visitatore: è luogo che mette alla prova le tue potenzialità dialogiche, che ti definisce come ecologista ma non troppo radicale, perché proteggerla è necessario, ma è altrettanto necessario mediare con i suoi paradossi e con le esigenze della realtà, che si sgomitola ogni giorno tra le vite di chi la abita.

Io chiudo con una riflessione come lettrice: mi è capitato qualche volta di acquistare un libro prima della presentazione con l’autore, convinta che, dalle recensioni lette e dalle impressioni “di pancia”, ne valesse la pena. Non sempre ha funzionato, non sempre il personaggio che all’improvviso spopola tra social e librerie è all’altezza delle aspettative, come uomo di penna, ma anche come uomo e basta. Anche l’altro giorno, prima dell’appuntamento con Paolo, ho fatto un salto nella libreria di amici per capire se Le otto montagne fosse un libro che valesse la pena portare a casa, convinta comunque che l’avrei acquistato solo a incontro avvenuto. Incontro durante il quale Paolo ha detto una cosa di interesse apparentemente meno giornalistico di altre, che parlava di rispetto per i propri lettori, quei lettori che “ti scrivono mail di commento, augurio, ammirazione e a cui mi sento di dover rispondere”, perché montagna è anche partecipazione, insegnamento profondo a fare la differenza con le proprie scelte e i propri comportamenti.

Sarebbe bastata anche questa frase a convincermi ad acquistare il libro, una frase che sfogliava la persona, dietro l’autore. Ma il libro l’avevo già in borsa.

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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