La lussuria delle cose fatte per bene

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La prima volta che ho provato un prodotto Lush dev’essere stato quasi 20 anni fa. Mi regalò un taglio di sapone una conoscente di Firenze, e con gli occhi dell’adolescente che si avvicinava ai primi bagliori del mondo adulto mi sembrò un pensiero talmente esotico e prezioso che per diverso tempo lo utilizzai con parsimonia maniacale, ad un certo punto decidendo perfino di interromperne il consumo per convertirlo a profumatore per armadi… così sarebbe durato di più! Da quel giorno acqua ne è passata nei lavandini e nelle docce, ma la buona abitudine di frequentare i negozi Lush è rimasta, incentivata dall’apertura qualche anno fa di una bottega anche nella mia città. Quella che è cambiata è la consapevolezza nell’utilizzare questi prodotti, che certo subisce ancora la seduzione sensoriale dei suoi richiami lussuriosi (Lush è un nomen omen, appunto), ma che si basa anche e soprattutto su molte solide ragioni, non necessariamente emotive o estetiche, piuttosto morali ed etiche. Eccone, per esempio, alcune.

I prodotti sono al 100% vegetariani: l’84% è vegano e viene garantita l’assenza di test sugli animali. Oltre il 70% dei prodotti ha poi una formulazione “auto conservante”, ovvero che beneficia di conservanti naturali come il sale, il miele o l’argilla, che permettono di aumentarne la durata mantenendo la rigorosa produzione manuale. Questo si traduce per il consumatore in una semplice quanto significativa caratteristica: i conservanti sintetici sono utilizzati in percentuale minima (methylparaben, propylparaben, phenoxyethanol e benzyl alcohol), necessaria a garantire ai prodotti liquidi una vita più lunga e comunque con un utilizzo consapevole e parsimonioso, tra l’altro in fase di eliminazione dalla maggior parte delle formulazioni dove siano richiesti. Questo risultato si ottiene anche e soprattutto rendendo solidi quei prodotti generalmente liquidi o semiliquidi, come i deodoranti, i dentifrici, le creme per il corpo e i balsami , e utilizzando ingredienti che assorbono l’acqua come l’argilla, la calamina, il talco e il caolino. Senza la presenza di acqua, fattore principale della proliferazione di batteri e quindi della deperibilità dei prodotti freschi, le miscele si conservano più a lungo, anche se mantengono comunque una data di scadenza, informazione che troviamo in etichetta e indicazione alquanto rara per la maggior parte dei cosmetici.

Unitamente agli investimenti in ricerca, uno dei punti di forza dell’azienda è sicuramente quello di promuovere anche la produzione, l’utilizzo e l’acquisto di prodotti “nudi”, che equivale un po’ alla cultura dello sfuso in ambito alimentare: shampoo, burri per il corpo solidi, saponi, e bombe da bagno senza imballaggi, con l’accortezza di proporre contemporaneamente, lì dove necessarie o non ancora abolite, confezioni riciclabili che, restituite in negozio, danno diritto a qualche omaggio.

E qui si arriva a un altro elemento da non sottovalutare quando si valuta un marchio: la gentilezza e la competenza dei rivenditori che lo propongono al cliente. Anche quando non tutte le informazioni sono disponibili (poche volte a dire il vero), i responsabili sfoderano un sorriso disponibile e solare, si prodigano per soddisfare curiosità e dubbi rispettando l’inclinazione all’esplorazione autonoma del cliente o accompagnandolo nella scelta del prodotto più adatto in caso di richiesta, coccolandolo con consigli e aneddoti sul miglior utilizzo.

Quello di cui forse si sa ancora poco riguarda invece la solidarietà di Lush: non solo la Charity Pot lanciata nel 2007 (ex Sua Bontà, del cui prezzo 1 euro viene devoluto a progetti in difesa dei più fragili, degli animali e dell’ambiente), ma anche l’esistenza dello SLush Fund, un’iniziativa che si unisce alla già buona abitudine di acquistare materie prime solidali, come ad esempio l’aloe dalla regione (masai) di Laikipia in Kenya, l’olio di palissandro proveniente dalla foresta pluviale del Perù e l’olio di moringa del Ghana. Negli ultimi anni, infatti, si concretizza l’idea di supportare direttamente le comunità che producono questi ingredienti, con la scelta di devolvere il 2% della spesa totale di Lush in materie prime e packaging al fondo, al fine di avviare progetti di sostegno alle comunità locali, contribuendo a un’agricoltura sostenibile e arricchendo gli ecosistemi locali attraverso attività legate a coltivazioni in permacultura.

Se al momento c’è qualcosa di cui, come consumatori, sentiamo la mancanza è… un investimento sui prodotti di pulizia per la casa, che sempre meno vengono venduti sfusi (anche la Coop li ha recentemente ritirati da molti suoi punti vendita, sigh!) e che, se qualitativamente raggiungessero i risultati dei prodotti Lush per la persona, rappresenterebbero di certo un’ottima alternativa ai prodotti in commercio.

Dulcis in fundo, e mai latinorum fu utilizzato in maniera più appropriata (!), quelli di Lush sono geniali nella comunicazione: spiritose e irriverenti, precise nell’INCI sempre bene in vista e scanzonate nello stile, le loro etichette sono un concentrato di qualità e buonumore. Da provare!

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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