La guerra, un’emergenza sanitaria globale

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Foto: Unsplash.com

Le guerre del nostro secolo non si misurano più solo in battaglie e confini: sono crisi sanitarie globali che lasciano ferite fisiche, sociali e psicologiche destinate a durare per generazioni. Ospedali distrutti, epidemie riemergenti, bambini malnutriti e persone sfollate e prive di cure mostrano come i conflitti moderni stiano demolendo i sistemi sanitari e la stessa idea di salute pubblica, trasformando la guerra in una pandemia di sofferenza umana.

La guerra non è soltanto un fenomeno politico o militare: è una vera e propria emergenza sanitaria globale, come una pandemia. Lo sottolineano in un editoriale pubblicato a fine settembre su Frontiers in Public Health Stefano Orlando (Università di Roma Tor Vergata), Paolo Vineis (Imperial College London) e Pirous Fateh-Moghadam (Azienda Sanitaria di Trento). Qualche dato chiarisce forse il concetto. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, le vittime civili nei conflitti sono il 60% del totale. Ma il bilancio non si ferma alle vittime dirette: una ricerca pubblicata su The Lancet ha stimato 29 milioni di morti in eccesso tra il 1990 e il 2017 a causa degli effetti indiretti dei conflitti, tra cui malattie infettive, malnutrizione e collasso dei servizi sanitari materno-infantili. Questi effetti persistono per generazioni, trasformando la guerra in una catastrofe sanitaria di lungo periodo.

Gli autori dell'editoriale individuano due caratteristiche della guerra moderna che spiegano l'altissima percentuale di vittime civili. La prima è tecnologica: droni e armamenti a lunga gittata permettono di colpire da distanze enormi, riducendo l'esposizione diretta dei soldati ma aumentando la distanza morale tra chi combatte e chi subisce le conseguenze. A differenza della Prima guerra mondiale, che generò una ricca letteratura sui conflitti morali dei combattenti, le guerre odierne sembrano meno capaci di produrre riflessioni sulla responsabilità individuale.

La seconda caratteristica è economica: le armi sono diventate merci come le altre, disponibili sul mercato globale. I dati del SIPRI sono eloquenti: nel 2023 le prime cento aziende del settore militare hanno generato ricavi per 632 miliardi di dollari, con un aumento reale del 4,2% rispetto al 2022. Gli Stati Uniti dominano con il 43% delle esportazioni mondiali, seguiti da Francia (9,6%), Russia (7,8%), Cina (5,9%), Germania (5,6%), Italia (4,8%), Regno Unito (3,6%) e Israele (3,2%). Le importazioni europee sono esplose: in quattro anni sono aumentate del 155%, passando dall'11% al 28% del mercato globale. Questa cooncettualizzazione delle armi come merci attenua di fatto la percezione della responsabilità morale di chi le produce e commercia.

L'escalation globale

Negli ultimi cinque anni i conflitti sono quasi raddoppiati. Secondo l'Armed Conflict Location and Event Data Project (ACLED), si è passati da circa 104.000 episodi di violenza armata nel 2020 a quasi 200.000 nel 2025. L'invasione russa dell'Ucraina del 2022 ha rappresentato un punto di svolta, alimentando tensioni geopolitiche e contribuendo all'esplosione di altre crisi regionali.

A Gaza, l'Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) riportava al 6 agosto 2025 oltre 61.000 morti e più di 150.000 feriti. Diversi studi indipendenti, inclusa un'analisi di Lancet, suggeriscono che questi numeri potrebbero essere sottostimati. La Corte Penale Internazionale ha emesso mandati di arresto contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l'ex ministro della Difesa Yoav Gallant per crimini di guerra e contro l'umanità, oltre che ovviamente contro il comandante militare di Hamas Mohammed Deif che coordinò la strage del 7 ottobre in Israele. La Corte Internazionale di Giustizia ha ordinato a Israele di garantire l'accesso agli aiuti umanitari, prescrizioni rimaste in larga parte disattese. Diverse organizzazioni di sanità pubblica, tra cui l'European Public Health Alliance, hanno riconosciuto la crisi di Gaza come genocide-related, una posizione condivisa anche da due organizzazioni israeliane per i diritti umani, B'Tselem e Physicians for Human Rights Israel.

Altri esempio, purtroppo, non mancano. In Sudan, dall'aprile 2023, la guerra civile tra le Forze armate sudanesi e le Forze di supporto rapido ha causato tra 20.000 e 150.000 vittime civili secondo stime che variano ampiamente, evidenziando le difficoltà di raccogliere dati accurati in contesti di conflitto attivo.

Il collasso dei sistemi sanitari e l'amplificazione delle crisi sanitarie

La guerra - spiegano gli autori - mina le fondamenta della salute pubblica. Ospedali bombardati, carenza di personale, assenza di forniture mediche rendono impossibile garantire le cure essenziali. A Gaza, l'ospedale Al-Aqsa Martyrs ha dovuto trasformare sale parto e reparti ostetrici in sale operatorie d'emergenza per far fronte all'afflusso di feriti. In Etiopia, durante il conflitto nel Tigray, la pandemia di COVID-19 ha trovato terreno fertile proprio per la chiusura dei centri di risposta alle emergenze, con un'impennata dei tassi di positività una volta ripresi parzialmente i servizi...

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