www.unimondo.org/Notizie/La-guerra-dei-soldati-240447
La guerra dei soldati
Notizie
Stampa

Foto: Filip Andrejevic da Unsplash.com
La guerra in Ucraina è al centro del racconto mediatico da oltre un anno, poco o nulla è riservato alle altre 58 guerre in corso. Poco o nulla ci viene raccontato dell’esperienza terrificante del contatto diretto, come se quella in Ucraina fosse soltanto una guerra di razzi e non uno scontro tra giovani vite. Poco nulla ci viene detto sui tanti soldati ucraini e russi ai quali sono stati già diagnosticati disturbi conseguenti al trauma. Poco o nulla ci viene spiegato su quello che accade alle bambine e ai bambini, perfino a quelli non ancora nati, la cui vita è già segnata da shock e mine. Intanto, in Italia, che non ha mai smesso di produrre armi ed è quindi ansiosa di venderle, ricompaiono proposte governative per il ripristino del servizio militare, la propaganda mistifica la volontà di un processo di pace come posizione putiniana e il linguaggio bellico domina sui media. Il rifiuto della guerra, che da circa cinquant’anni ha cominciato a farsi strada nel mondo in tanti modo diversi, non è scomparso ma deve fare i conti con tutto questo.
“La storia insegna, ma non ha scolari” diceva Antonio Gramsci. Da qui il perpetuo rinnovarsi di ciò che è stato, quale che sia il carico di orrore che si porta dietro, che, se fossimo gli animali razionali che ci vantiamo di essere e che invece non siamo, dovrebbe farcene stare lontano anni luce. Niente di più vero quando si tratta di guerre, che dovremmo ben conoscere essendo un ambito di considerazioni smisurate da parte degli storici, visto che accompagnano la specie umana da sempre e visto che, ora che siamo oltre otto miliardi di individui ad avere colonizzato la terra, riusciamo a combatterne non una per volta, ma molte decine insieme, in ogni angolo, in ogni dove. Attualmente 59, secondo quanto riportato da Armed conflict location & event data project (Alced), organizzazione che si occupa di raccogliere dati per monitorare i conflitti. Di molte non conosciamo quasi nulla e a mala pena sappiamo individuare su una carta geografica i paesi in cui hanno luogo; al momento l’attenzione pubblica, magistralmente guidata da mass media tanto spesso ridotti a cassa di risonanza del potere, è veicolata quasi esclusivamente sull’Ucraina: ma basta e avanza per provare a cogliere quelli che sono i denominatori comuni di tutte le guerre. Anche se le informazioni arrivano spezzettate, incomplete, comunque parziali; anche se la verità è la prima vittima di ogni conflitto.
Per parlare di attualità della guerra, la più disumana tra tutte le attività umane, cercando di riempire i buchi della disinformazione, un grande aiuto lo offre ciò che sappiamo di quelle che hanno insanguinato il secolo scorso, e lo offre in tempi più recenti Svetlana Aleksievic, premio Nobel per la letteratura, che delle conseguenze umane di tanti conflitti si è occupata: i suoi Ragazzi di zinco (edizioni e/o) sono quelli che ritornano, chiusi nelle bare metalliche, dall’Afganistan, dove erano stati mandati a combattere tra il 1979 e il 1989 durante l’occupazione sovietica del paese: lei dice di tutto quello che si sarebbe voluto censurato, ma che le drammatiche testimonianze dei sopravvissuti e delle famiglie fanno emergere dalla volontà di oblio.
Si comincia dal primo grande imbroglio, che ha luogo negli arruolamenti: nel passato a farla da padrona era la grande retorica del richiamo patriottico, per cui, dulce et decorum est pro patria mori, sarebbe dolce e bello morire per la patria, panzana convincente quando la figura dell’eroe conservava un suo fascino, non ancora svilito nella dissacrata immagine che, secondo la demitizzata sintesi di Philippe Zimbardo, lo vede storicamente identificabile non in un invidiabile irraggiungibile superuomo, ma in un maschio adulto assassino. Non manca poi la contemporanea criminalizzazione del nemico, incarnazione del male in tutte le sue poliedriche forme; si può andare oltre la mistificazione della realtà e inoltrarsi nei territori dell’inganno totale, dove sono menzogne plateali a nobilitare la partenza in armi, con la trasformazione del nemico in immagine satanica, icona da annientare per il bene dell’umanità: si andava in Afganistan per aiutare un popolo fratello a costruire strade, a distribuire concimi nei villaggi, mentre i medici militari sono lì ad assistere le partorienti afgane (S. Aleksievic). Si va in Ucraina a liberare la popolazione oppressa dalla dittatura nazista...