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La finanza etica al bivio
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Oggi la finanza etica (e alternativa, critica, solidale) deve fare le scelte giuste. In tema di pratiche positive e identità da veicolare, di rapporto con il ben più ampio mondo della finanza che si fa "buona" e delle istituzioni che scoprono l'etica come leva di marketing, di crescita di rete e costruzione di una propria "politica". Come affrontare questo nuovo scenario?
Si tratta di rappresentare una reale alternativa al sistema finanziario. Quello stesso sistema che negli ultimi dieci anni ha accresciuto la sua dipendenza dalle attività di speculazione - nei cambi e nelle borse - e dai servizi (il cui costo per i risparmiatori, secondo l'Istat è cresciuto del 7,4% nell'ultimo anno), riducendo di molto la propria attività tipica: fare prestiti. Una tendenza che rischia di essere drammaticamente accentuata dagli accordi che passano sotto il nome di Basilea 2. Senza entrare nei dettagli, basta dire che secondo quanto previsto da queste regole una qualunque richiesta di finanziamento dovrà essere valutata in base a rigidi criteri di tipo tecnico che prendono in considerazione i dati patrimoniali, reddituali, finanziari dell'impresa. Insomma, un modo per rendere quasi automatico il giudizio sulla concessione del credito e, conseguentemente, sul costo che ne deriva per l'eventuale beneficiario. Imprese più fragili, dai numeri meno rispondenti ai parametri fissati, si vedranno rifiutare le proprie richieste oppure saranno costrette a sostenere tassi di interesse anche del 90% superiori rispetto a quelli attuali (a parità di andamento dei mercati). Uno studio recente ha indicato nel 65% il numero di piccole e medie imprese italiane che, a seguito dell'applicazione di questi accordi, si troverebbero in difficoltà seria, ignorate dal sistema finanziario o strangolate da condizioni proibitive.
Diversi da chi?
E' difficile parlare, a questo punto, di finanza come volano dell'economia. Siamo ormai alla massima autoreferenzialità dei grandi capitali che, sempre più concentrati, non fanno altro che inseguirsi tra loro, giocare su tutte le lotterie ancora in piedi (per quanto?), spingere ai margini quelle attività economiche che non sono in grado di esprimere tassi di profitto sbalorditivi (e immediati). Lo stesso - da tempo - avviene con le persone. Forse in questo caso i problemi sono già più significativi di quelli che potranno avere le imprese con Basilea 2. Basti pensare a quanto, da una parte, alcuni strumenti finanziari sono ormai determinanti ai fini di un pieno inserimento sociale e di una minima emancipazione economica (su tutti il bancomat, ormai diventato strumento di pagamento oltre che di prelievo) e quanto, dall'altra, le banche siano sempre meno interessate a curare i rapporti con i singoli cittadini, anche indipendentemente da fattori una volta importanti quali, ad esempio, il livello di istruzione. Una recente inchiesta del Sole 24 Ore dimostrava la difficoltà di un qualunque "co.co.co." (collaboratore a contratto coordinato e continuativo), non importa se laureato, giovane e con un buon lavoro, ad ottenere un mutuo per l'acquisto della prima casa. E la recente riforma del lavoro non migliorerà le cose. Lo stesso dicasi per il credito al consumo - cioè l'acquisto a rate di elettrodomestici, automobili ecc. - già limitato per più dell'80% ai lavoratori dipendenti.
Banche in sofferenza
Ma tutto questo attenua i rischi delle banche? Assolutamente no. Solo nel settore del credito al consumo, secondo l'Associazione Bancaria Italiana (Abi), il 61% di banche e finanziarie è colpita da truffe. In media sembra che si verifichino 25 frodi ogni 100 mila operazioni, con un importo medio di circa 5 mila euro, ben più alto dell'importo chiesto in prestito se si considerano le spese di istruttoria e di recupero. L'incidenza di queste perdite sul reddito delle banche arriva così all'11%. In generale le sofferenze bancarie (termine utilizzato per indicare i prestiti non rimborsati) si aggirano in Italia attorno al 5% degli impieghi erogati e sono cresciute dell'1,33% nell'ultimo anno.
Nel frattempo, mentre si stringono i cordoni della borsa per le persone e le piccole imprese, crescono le grandi operazioni finanziarie che spesso definire avventate è poco. Solo nei primi cinque mesi del 2003 i dirigenti bancari sono stati chiamare a pagare 700 mila euro di multe dalla Banca d'Italia per operazioni condotte con "eccessiva leggerezza".
Diversi come?
Importante perciò che, oggi più che mai, venga tenuto a mente il Manifesto elaborato dall'Associazione finanza etica sei anni fa (lo trovate in www.finanza-etica.org). Vi si traccia un profilo di operatori e pratiche che caratterizzano la storia, le prospettive e l'identità della finanza etica italiana. La trasparenza, la partecipazione, la valutazione di impatto sociale e ambientale sono il centro di questo documento. Ma anche la sobrietà, l'efficienza, il riconoscimento delle persone e dei loro diritti prima dei progetti e dei flussi finanziari. E non è marginale ricordare che tutto questo viene praticato con tassi di sofferenza contenuti tra l'1 e il 2%. Le pratiche delle Mag (cooperative di Mutua Auto-Gestione), amplificate nella comunicazione e potenziate nell'operatività dal caso Banca Etica, rappresentano un modello - o una pluralità di modelli, nelle loro diversissime sfaccettature - verso cui tendere per la costruzione di una rete di soggetti che sul territorio si riappropri del denaro e ne promuova un uso non solo "etico" ma anche "razionale" (riconquistando dunque anche una terminologia che sconfessa la pretesa di razionalità dell'utilitarismo). Il progressivo crescere di una coscienza diffusa su questi temi, insieme al fallimento del sistema dominante - finanziario ed economico - può permettere un reale salto in avanti di queste esperienze, che partano dall'autorganizzazione di piccoli gruppi, si giovino delle reti già esistenti, non abbiano paura di appoggiarsi alle realtà che possono aiutarle a strutturarsi, a partire dalla stessa Banca Etica.
Diversi ma uguali?
Era uno dei tormentoni di Palombella rossa, il film di Nanni Moretti in cui alcuni "vecchi compagni" cercavano il dialogo con lo smemorato Apicella, mirando ad un'unione che prescindesse da differenze fondanti e strutturali. Lo stesso sta avvenendo - fatte le dovute proporzioni - nel rapporto tra finanza etica e grandi istituzioni finanziarie. E qui inizia il ragionamento sulle derive da evitare. La finanza etica non ha nulla a che fare con la "bontà". Non ci interessa che questo governo, una grande banca, un fondo pensione o altro si dimostrino "buoni", devolvendo in beneficenza parte dei loro utili. O peggio - come più spesso accade - che chiedano ai risparmiatori di farlo. Ciò che sta al centro della finanza etica è la consapevolezza di poter costruire un'economia auto-sostenibile, che non passa sopra le relazioni sociali e le ricchezze naturali, che ha rispetto delle generazioni future e si impegna per migliorare la qualità della vita di tutti gli abitanti del pianeta. Il fatto che la finanza "alta", nei suoi salotti, parli ormai da tempo di finanza etica ci ha incuriosito. Ci siamo avvicinati all'ABI (Associazione Bancaria Italiana) e al Forum per la finanza sostenibile. Ma qui abbiamo percepito una grande confusione: finanza etica non è maggiore trasparenza sulle condizioni di conto corrente, quello è rispetto delle leggi e deontologia; non è istituire una commissione con qualche cardinale e premio Nobel, quello è marketing; non è misurare le performance per scoprire il "valore" dell'etica, quello è un semplice aggiornamento della mentalità speculativa. Come Afe abbiamo definito "umanitario" o tutt'al più "responsabile" questo tipo di comportamento da parte delle istituzioni finanziarie. Ed è importante che si comunichi correttamente la differenza tra questi approcci e il nostro modo di operare, radicalmente diverso nei fini e negli strumenti (coerenti con i primi).
Le scelte da fare
L'impegno nella politica non va sottovalutato, né temuto. Recentemente il governo - sì, proprio questo governo - ha approvato una mozione proposta dall'Afe che riconosce principi e operatori della finanza etica, impegnandosi anche a promuoverne la crescita e la diffusione culturale (la trovate sul sito dell'Afe). Buona notizia? Sì, ma una lettura attenta della dichiarazione del governo evidenzia qualcosa a metà strada tra una grande confusione e una interpretazione maligna della nostra mozione, mettendo in un unico calderone le Mag e le fondazioni bancarie, Banca Etica e i fondi pensione... Insomma, di strada da fare ce n'è tanta.
Di fronte a queste ambiguità e ad un governo che metabolizza ogni richiesta della società civile riciclandola al peggio (ricordate come dalla Tobin Tax è nata la de-tax di Tremonti?) ci sarebbe da scoraggiarsi. Ma intanto, per la prima volta in Italia, esiste un testo, approvato in una sede politica alta, che definisce che cosa si debba intendere per finanza etica. E, a prescindere dai commenti del governo (che comunque non hanno modificato la mozione), si tratta di un testo che è stato interamente elaborato da chi fa ogni giorno finanza etica. Un buon passo in avanti. Ed è la dimostrazione che mantenendo un impegno forte nelle pratiche quotidiane di altra-finanza e nella combinata azione operativa e culturale la finanza etica potrà continuare a rigenerare il tessuto economico e sociale. Il percorso è articolato: far nascere nuove Mag, sostenere gli operatori esistenti, inserire il risparmio in un circuito completo di comportamenti critici e responsabili, sollecitare le istituzioni e la politica. Aprendosi sì alle contaminazioni ma difendendo sempre un'identità preziosa.
di Alessandro Messina