La Resistenza italiana non si può equiparare a quella ucraina

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Il manifesto dell’ANPI per il 25 aprile

Con approssimarsi del 25 aprile, data in cui l’Italia celebra la “Festa della Liberazione” alcuni opinionisti hanno cercato di proporre un parallelo, storicamente insostenibile e politicamente inaccettabile, tra la Resistenza italiana e la “resistenza ucraina”. Una equiparazione, volutamente ideologica e strumentale, messa in atto con lo scopo di screditate l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI) ed in particolare il suo presidente, Gianfranco Pagliarulo, per aver manifestato, fin dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, la propria contrarietà all’invio di armi alle forze armate ucraine. “Pensiamo – ha detto Pagliarulo durante la conferenza stampa di presentazione delle iniziative per il 25 aprile (qui il video) – sia giusto chiamare quella ucraina una lotta di resistenza, come è scritto nella Carta delle Nazioni Unite. Ma è sbagliato identificare la resistenza ucraina con quella italiana. Ovunque uno Stato ne attacchi un altro va appoggiata la sua resistenza, ma quella italiana è emersa in un contesto totalmente diverso”. Concordo appieno con il presidente dell’ANPI e lo spiego.

La Resistenza italiana fu contro il nazifascismo: quella ucraina?

La Resistenza italiana si è caratterizzata fin dall’inizio sia come movimento di liberazione dall’occupazione nazista sia come lotta contro il fascismo per liberare i territori del sedicente governo fascista della Repubblica Sociale Italiana. Pur avendo preso forma all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre 1943, la lotta partigiana non nacque dal nulla, ma trovò la sua sorgente nella decennale opposizione al fascismo che dalla sua ascesa al potere nel 1922, ed in particolare dopo l’uccisione di Giacomo Matteotti nel giugno del 1924, attuò la dittatura attraverso una feroce repressione degli oppositori politici, molti dei quali furono incarcerati, costretti all’esilio o alla clandestinità. La Resistenza italiana fu, pertanto, chiaramente antifascista e antinazista, senza alcuna ambiguità e concessione né ideologica né simbolica al nazifascismo.

Non si può dire altrettanto per quanto riguarda la “resistenza ucraina”. Innanzitutto nel parlamento ucraino sono presenti da anni partiti di chiara matrice nazista, come Svoboda, la formazione più antica, fondata nel 1991 quando si chiamava Partito Socialnazionalista d’Ucraina che nel 2014 assunse ruoli di primissimo piano nel governo e controllando Forze Armate, Polizia, Giustizia e Sicurezza Nazionale. Ma anche il Partito Radicale di Oleh Liashko che è stato in parlamento fino al 2019. E’ inoltre presente nella scena politica Pravyi Sektor (Settore Destro), gruppo guidato da Dmytro Jaroš, responsabile di numerose violenze, tra cui la strage di Odessa del 2 maggio 2014, in cui furono uccise 48 persone che avevano trovato rifugio nella Casa dei Sindacati. Vi è inoltre il famigerato Battaglione Azov, il gruppo paramilitare di estrema destra accusato dall’Osce dell’uccisione di massa di prigionieri, di occultamento di cadaveri nelle fosse comuni e dell’uso sistematico di tortura, che nel 2014 è stato incorporato nella Guardia nazionale dell’Ucraina e trasformato in unità militare regolare e permanente: il suo comandante, Denis Prokopenko, è stato recentemente insignito dal presidente Zelensky del titolo di “eroe nazionale dell’Ucraina”. Proprio il battaglione Azov sarebbe stato rifornito con armi inviate dall’Italia, come documentano alcune foto pubblicate su twitter. Come ha scritto Matteo Zola, “al di là della strumentalizzazione criminale che ne sta facendo il Cremlino, i movimenti di estrema destra hanno caratterizzato le dinamiche politiche in Ucraina negli ultimi vent’anni” e continuano a influenzare la scena politica e militare.

La Resistenza italiana fu spontanea, democratica e pluralista: quella ucraina?

Il movimento della Resistenza italiana racchiuse in sé gruppi e formazioni appartenenti a differenti matrici politiche (comunisti, azionisti, monarchici, socialisti, democristiani, liberali, repubblicani, anarchici, ecc.) e si caratterizzò per una chiara cesura con il passato fascista e come tappa fondamentale per la costruzione della nuova Repubblica democratica, che sarebbe nata nel 1946. Fu un movimento spontaneo e democratico coordinato dal Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) che riunì in un unico organismo i diversi partiti dell’antifascismo storico, ognuno con un suo rappresentante. Le formazioni partigiane erano gruppi armati di antifascisti composti su base spontanea e volontaria che trovano una guida politica e coordinamento militare nel Corpo Volontari della Libertà (CVL) che fu la prima struttura, riconosciuta tanto dal Governo italiano quanto dagli Alleati, di coordinamento e unione delle forze partigiane: coordinò con i comandi alleati l’offensiva sulla linea Gotica e l’insurrezione nazionale che, nella primavera del 1945, portò alla liberazione dell’Italia settentrionale.

Non si può dire lo stesso riguardo alla “resistenza ucraina”. La resistenza ucraina non è affatto un movimento spontaneo e popolare, ma è la risposta decisa dal governo ucraino il 24 febbraio scorso a seguito dell’invasione militare russa, con la proclamazione della legge marziale e la coscrizione obbligatoria per tutti gli uomini dai 18 al 60 anni. Sebbene il governo non abbia specificato le misure concrete, la legge marziale in Ucraina prevede il controllo del territorio da parte dei militari che sono i referenti dell’applicazione della legge. Con l’imposizione della legge marziale il governo Zelensky ha vietato l’attività di undici partiti di opposizione rappresentati nel Parlamento ucraino e si moltiplicano voci e denunce che parlano di arresti e segnalazioni di attivisti e di chiunque si opponga al governo in carica. Inoltre in Ucraina non è consentita l’obiezione di coscienza – se non per motivi strettamente religiosi – e la resistenza nonviolenta non è prevista. Il Movimento Nonviolento italiano, che è in contatto con quello ucraino e russo, ha comunicato che alcuni obiettori di coscienza ucraini hanno dovuto darsi alla clandestinità e sono ricercati dai militari in quanto disertori.

La Resistenza italiana fu sia armata che disarmata e nonviolenta: quella ucraina?

Protagonisti della Resistenza italiana furono certamente i partigiani armati, ma non solo loro. I partigiani, infatti, avrebbero potuto ben poco senza l’appoggio di tanta popolazione civile che, seppur senza armi, li proteggeva e sosteneva mettendo a rischio la propria vita. Un ruolo particolarmente importante ebbero le donne, soprattutto come “staffette” portaordini: tra queste Lidia Menapace che, come staffetta partigiana, rifiutò categoricamente di portare armi, come fece anche Gino Bartali. Resistenza armata e non armata furono due aspetti diversi dell’unica esperienza della Resistenza italiana, in stretto contatto e per un unico obiettivo condiviso, la liberazione dal nazifascismo.

E’ pertanto antistorico e fuorviante definire – come ha fatto nei giorni scorsi il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, la Resistenza italiana come “un popolo in armi”per affermare il proprio diritto alla pace dopo la guerra voluta dal regime fascista. Come ha documentato Ercole Ongaro nel volume “Resistenza nonviolenta 1943-1945”, è la “distorsione della narrazione storiografica, sedimentata nell’immaginario collettivo, che porta ad identificare la Resistenza con la minoranza rappresentata dai partigiani armati ed eclissa la grande maggioranza rappresentata da tutti i resistenti che non hanno fatto ricorso alle armi” impegnati nella Resistenza, ma anche nel soccorrere tre gruppi di persone che l’occupante nazista voleva catturare e deportare nei lager: i soldati in servizio attivo l’8 settembre, gli ebrei e gli ex prigionieri alleati. In altre parole “tutti i partigiani furono resistenti, ma non tutti i resistenti furono partigiani”.

Per quanto riguarda la resistenza ucraina – che è tuttora in corso – non è possibile fare un bilancio. Ma le foto diffuse da varie agenzie di stampa hanno mostrato, fin da prima dell’invasione russa, giovani civili armati e l’addestramento di tipo militare messo in atto da anni da parte di alcuni gruppi (si veda questo mio thread): tutto questo mostra una chiara scelta di campo a favore della lotta armata da parte delle autorità ucraine. Non solo. Se vi sono state numerose denunce da parte ucraina dell’utilizzo da parte delle forze armate russe di “armi illegali”, si sarebbero però verificati anche casi – come ha documentato un’inchiesta del New York Times – in cui l’esercito ucraino avrebbe usato bombe a grappolo nel tentativo di riconquistare la zona che era stato occupata dalla truppe russe. Le bombe a grappolo sono munizioni vietate a livello internazionale dalla Convezione di Oslo a cui né Russia né Ucraina hanno finora aderito. Russia e Ucraina, inoltre, si rinfacciano le accuse di utilizzare la popolazione civile come “scudi umani”. Un atteggiamento ben diverso da quello dei partigiani italiani che furono sempre molto attenti a non coinvolgere le popolazioni civili e cercare di evitare, per quanto possibile, le rappresaglie delle truppe naziste ne confronti dei civili.

La Resistenza italiana aveva come obiettivo la fine del conflitto: quella ucraina?

Come ha rilevato nei giorni scorsi Paolo Ferrero, “la Resistenza italiana si è caratterizzata per una lotta che puntava alla fine del conflitto, alla pace. Il tutto nella consapevolezza che più la guerra proseguiva e più la popolazione avrebbe avuto a soffrirne. Non è un caso che quando l’esercito tedesco ha cominciato a ritirarsi i comandi partigiani hanno cercato in tutti i modi un rapporto diplomatico in modo da garantire l’esodo pacifico delle truppe occupanti senza ulteriori danni per la popolazione”. Possiamo dire la stessa cosa della resistenza ucraina?

Le forniture militari da parte dei paesi della NATO, se da un lato hanno contribuito alla resistenza ucraina, dall’altro – proprio per la mancanza di una forte azione di pressione politica da parte della NATO e soprattutto da parte degli Stati Uniti – sembrano indirizzate più allo scopo di prolungare il conflitto invece che alla sua risoluzione. Inoltre, ammassando truppe ai confini dell’Ucraina fin da prima dell’inizio del conflitto, la NATO non ha certamente favorito la de-escalation militare e la distensione dei rapporti con la Russia. L’impressione sempre più evidente, considerato l’atteggiamento dei contendenti, è pertanto che ci si trovi di fronte all’ennesima “proxy war” ovvero ad una “guerra per procura” all’interno dell’annosa contrapposizione tra Stati Uniti e Russia, in cui l’Ucraina è divenuta il terreno di battaglia.

Va inoltre ricordato che il governo ucraino avrebbe potuto evitare il conflitto. Stando a quanto riportato dal Wall Street Journal, il 19 febbraio scorso, cioè cinque giorni prima dell’invasione russa, il cancelliere tedesco Scholz, per scongiurare il conflitto, propose al presidente Zelensky di rinunciare pubblicamente a entrare nella Nato, ma avrebbe avuto un rifiuto da parte del presidente ucraino. Nello specifico, Scholz “avrebbe esortato il presidente ucraino a rinunciare alle sue aspirazioni di aderire alla NATO e ad assumere la neutralità come parte di un più ampio accordo di sicurezza nella regione europea. Questo patto sarebbe stato firmato da Vladimir Putin e Joe Biden e avrebbe contenuto clausole per la sicurezza dell’Ucraina” - riporta l’agenzia AskaNews.

Si tratta di un ulteriore aspetto che evidenzia quanto sia poco attinente alla realtà storica applicare alla situazione ucraina non solo le categorie della Resistenza italiana, ma anche le parole della canzone partigiana “Bella Ciao!”: “Una mattina, mi son svegliato e ho trovato l’invasor...”. Resistenza ucraina che ha tutto il diritto di essere considerata resistenza di popolo a fronte dell’inaccettabile e criminale aggressione dal parte delle forze armate russe. Aggressione che va condannata “senza se e senza ma”. Come tutte le aggressioni nei confronti di Stati sovrani e popolazione inermi.

Giorgio Beretta
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