La Cina può disconnettersi dall'internet globale quando vuole

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Se apri la finestra per l’aria fresca, devi aspettarti che qualche mosca voli all’interno”. La vulgata vuole che il motto sia opera di Deng Xiaoping, il politico che dopo la morte di Mao Zedong ha riformato l’economia della Cina, e che abbia ispirato il Great Firewall, il sistema di controllo e censura di internet nel paese di mezzo. E secondo un recente studio di Oracle, pare che la lezione abbia dato i suoi frutti. Senza compagnie telefoniche straniere sul territorio, con un traffico dati segregato all’interno dei confini e sotto il controllo delle autorità, la Cina ha reti internet che sembrano più una intranet, isolata dalle influenze esterne.

La ricerca

La multinazionale californiana dei software ha analizzato l’infrastruttura con cui la Cina si connette all’internet globale e il traffico dati. Nel primo caso, a differenza delle “nazioni più sviluppate”, che “hanno un ampio numero di operatori non domestici con una presenza nel paese”, la Cina, si legge nel rapporto, “non ha una presenza significativa di compagnie telefoniche”.

Ciononostante il Paese di mezzo si connette al resto del mondo attraverso alcuni punti di accesso collocati negli Stati Uniti (per esempio a Seattle e Los Angeles) e in Europa. In sostanza, anziché avere un modello misto di connessione, attraverso compagnie nazionali e straniere, Pechino si affida solo alle prime, che hanno impiantato oltre confine i loro snodi. Nel 63% dei casi, sul suolo degli Stati Uniti.

Dall’analisi del traffico dati in Cina i ricercatori di Oracle hanno scoperto che il 100% dei pacchetti viaggia all’interno dei confini nazionali. E nessun paese utilizza le reti cinesi per far viaggiare i propri dati. Una situazione simile si riscontra solo negli Stati Uniti, dove il 98% del traffico resta all’interno del Paese, che Oracle attribuisce anche alle divisioni di molte compagnie telefoniche straniere sul suolo americano. Il Canada, per esempio, fa transitare dal vicino di casa il 45% del suo traffico, mentre la Russia, che punta a isolare le sue reti come la Cina, fa viaggiare i dati anche in Svezia (25%), Germania (6%), Finlandia (2%), Ucraina (1%) e Stati Uniti (1%).

Due facce

Il risultato di questa rete autarchica, secondo gli studiosi, è che se da un lato la Cina potrebbe staccasi dall’internet globale e tenere in piedi connessioni domestiche, la sua dipendenza da pochi accessi fisici, per lo più collocati in America, potrebbe costarle caro in caso di attacchi internazionali o blocchi ai server.

Oltre a rispondere alle esigenze di censura interna, l’isolamento offre a Pechino un piano B in caso di guerra informatica. “In caso di conflitto la Cina si può disconnettere dalle reti globali mantenendo sostanzialmente inalterato il flusso di dati e l’operatività dei servizi dentro i suoi confini, a differenza dell’occidente, che ha lasciato al mercato il compito di espandere i servizi internet. La nostra capacità di deterrenza di cyberwarfare verso quel paese è spuntata”, analizza Fabio Rugge, diplomatico a capo dell’osservatorio cybersecurity dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi). E aggiunge: “Di fatto, è una questione non lontana dalle forniture della tecnologia 5G”, che ha coinvolto i campioni tecnologici del Dragone.

Di contro, per chi fa affari una rete segregata è un limite. “Le aziende cinesi usano virtual private network (Vpn, ndr) in modo legale, altrimenti non potrebbero fare business con l’estero. Quindi per un sistema che vive di export, questa è una debolezza”, chiosa Plinio Innocenzi, docente all’università di Sassari ed ex consulente scientifico dell’ambasciata italiana a Pechino.

Lo stesso governo ha sostenuto la spartizione del mercato tra tre operatori, China Unicom, China Telecom e China Mobile (tutte aziende di Stato), “per creare una sorta di concorrenza interna e mantenere una spinta all’innovazione”, aggiunge Innocenzi. E precisa: “In sostanza il trade off è tra il controllo politico e l’ostacolo al business”.

Manovre internazionali

Sebbene la Cina sia l’esempio più lampante di controllo della rete, non è l’unico governo che sta giocando le sue carte per isolare le infrastrutture e dare un giro di vite alla circolazione delle informazioni. La Russia ha un progetto di legge per staccarsi dall’internet globale, mentre il Kazakhstan ha avviato protocolli per analizzare tutto il traffico dati (poi bloccati, a detta del governo, perché erano solo un test).

Ma come spiega Nnenna Nwakanma, direttrice ad interim delle politiche della World wide web foundation (guidata da sir Tim Berners-Lee), la frammentazione “minaccia la natura aperta, globale e collaborativa della rete”, “indebolisce il network mondiale e impedisce ai cittadini di accedere liberamente alle informazioni”. “Chi si è messo prima a capire quale sia il flusso dei dati sono i paesi che hanno un problema di consenso interno da gestire, come Russia, Cina, Iran e Corea del nord”, spiega Rugge. Mosca, d’altronde, è sempre più dipendente dalla tecnologia e dalle risorse di Pechino: il 5G russo, per esempio, sarà made in China.

Uno delle misure a cui i governi fanno sempre più ricorso per mettere la museruola al web è spegnere le connessioni. “Ci sono stati 196 shutdown documentati, completi o parziali, nel 2018, in aumento rispetto ai 106 del 2017. E a ben vedere, il maggior numero non è stato registrato in Cina, ma in India”, racconta Nwakanma. Il Kashmir di recente è finito nel mirino delle forbici informatiche di Nuova Delhi. Negli ultimi tre anni l’associazione non governativa Access now ha censito 370 blackout della rete, con conseguenze gravi a livello sociale, politico ed economico.

Creare muri digitali aumenterà soltanto la probabilità che questi strumenti digitali siano usati come armi”, osserva Nwakanma, mentre al contrario “serve un forum globale. Mentre ci sono colloqui in corso all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) e alle Nazioni Unite, queste negoziazioni richiedono tempo e le piccole nazioni spesso non si sentono ben rappresentate. Il gruppo di alto livello sulla cooperazione digitale, istituito di recente dal segretario dell’Onu, ha richiamato all’interdipendenza digitale”. Chissà se a Pechino il messaggio è arrivato.

Luca Zorloni da wired.it

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