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L’età della disconnessione
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Foto: Creative Christians da Unsplash.com
Immaginare la vita senza smartphone e senza social oggi sembra strano. Ci servono praticamente per tutto, o quasi: pagare la spesa, conoscere le previsioni meteo, controllare il conto in banca, arrivare da un luogo all’altro, lavorare, incontrare nuovi partner o vecchi amici, fare riunioni, controllare la cartella sanitaria o la mail, restare in contatto con colleghi o parenti, leggere la rassegna stampa, acquistare oggetti più o meno utili, sapere l’ora e puntare la sveglia, tenere un’agenda, archiviare o condividere materiali multimediali, ascoltare musica, contare i passi o farci i fatti degli altri su storie, post e compagnia bella. Tanta della nostra vita è online, forse troppa. E c’è chi l’era del digitale l’ha vista evolversi ed esplodere, e pur abitandola con relativa nonchanlance, sente ancora qualche disagio generazionale nel capire esattamente come utilizzare e gestire certi strumenti. Sono i cosiddetti boomer, ma questa non è la storia che vogliamo raccontare oggi. Quella di oggi è la storia di chi nell’era del digitale ci è nato, e che a noi sembra scontato non possa farne a meno. E invece.
Questa storia ha un nome. Luddite Club. Un Club che si ispira a Ned Ludd e al (neo)luddismo, movimento operaio che in Gran Bretagna nel XIX secolo reagì violentemente all’introduzione delle macchine nell’industria, ritenute causa di disoccupazione e di bassi salari. Questo Club ha, come allora lo avevano gli operai, l’obiettivo di sabotare. Non in questo caso la produzione industriale, ma il virtuale che oscura il reale.Siamo negli Stati Uniti e la fondatrice di questo circolo è una ragazza del liceo, Logan Lane, iscritta alla Edward R. Murrow High School di New York. La liceale, insieme a una ventina di coetanei, ha avviato un’abitudine decisamente alternativa, di questi tempi. Una volta alla settimana questo Club informale si riunisce in un parco senza smartphone, senza social. Via libera invece agli album da disegno, ai romanzi presi in prestito, agli acquarelli, al lavoro a maglia, alla chitarra, alla poesia.
L’idea è nata durante il lockdown, quando i social media e il digitale hanno preso il sopravvento nelle vite di tutti noi, in particolare dei ragazzi più giovani, che adesso sentono un bisogno naturale e primordiale di riconnessione – ma non tecnologica e digitale. Umana. Ecco perché uno dei luoghi deputati agli incontri non è una qualunque delle infinite piattaforme digitali, che solo apparentemente aiutano a mantenere legami, ma che in realtà inducono un’evasione dal reale senza la possibilità di processare alcuna dinamica profonda che interessa l’essere umano nelle sue manifestazioni più autentiche e innate, prima tra tutti la relazione con se stesso e con gli altri. Il luogo di incontro qui è la natura, lo spazio aperto.
È una questione che va oltre il dato statistico, quello che ci dice che i teen-ager trascorrono in media 16 ore al giorno davanti allo schermo. Si tratta di preservare la salute mentale individuale, ridurre l’ansia da confronto e da prestazione, e insieme potenziare la coesione sociale.
E non è dunque un caso che quest’idea sia emersa durante il lockdown, quando per molti ragazzi la vita digitale ha preso una svolta preoccupante. Trascorrere ore a studiare e a lezione, non solo a postare o scorrere foto su Instagram o video su TikTok, ha occupato troppo spazio nelle vite degli adolescenti, a sfavore di un tempo di qualità speso lontano dagli schermi e a contatto con la vita. Una vita che invece è affascinata dalla storia vera di Chris McCandless, protagonista del romanzo di Jon Krakauer e ulteriore ispirazione di questo giovane Club.
Generazione Z, la chiamano. Nati insieme agli smartphone, e per questa coincidenza di tempistiche considerata scontata la loro confidenza con gli apparecchi elettronici che più di tutti ci tengono collegati. Ma forse anche e proprio per questo motivo privati della possibilità di scegliere di non utilizzarli, o di utilizzarli con parsimonia. E non per scollegarsi, beninteso. Ma per non farsi sfuggire le cose di mano, per ricominciare a usare il cervello e il corpo come principali strumenti di contatto con la vita e con gli altri. Perché lo scollamento dalla realtà è sempre, in ogni caso, in agguato. E restare connessi a noi stessi e alla vita oltre lo schermo è la vera sfida che un mondo immerso nel digitale ci impone. Non solo da adolescenti, ma a ogni età, se proprio dobbiamo dire la storia per intero.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.