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Kossovo: le conseguenze e le reazioni nei Balcani
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Dopo i tre giorni di scontri che hanno incendiato il Kossovo la missione delle Nazioni Unite fa un bilancio: 25 morti, 867 civili feriti, 286 case incendiate, 30 chiese ortodosse date alle fiamme, 11 monasteri distrutti. "Niente faceva prevedere tale esplosione di violenza" - ammette Jean-Christian Cady, a capo del dipartimento polizia e giustizia dell'amministrazione Onu del territorio. Secondo quest'ultimo l'emozione suscitata dall'annegamento dei tre ragazzini albanesi originari di un villaggio nei pressi di Mitrovica, nel pomeriggio del 16 marzo scorso, è stata successivamente strumentalizzata da elementi estremisti perfettamente organizzati. Lo scrive Jean-Arnault Dérens, direttore di Le Courier des Balkans, sito francese partner dell'Osservatorio sui Balcani che riporta la traduzione dell'articolo del giornalista.
L'amministrazione internazionale sarebbe stata presa in completo contropiede. "Abbiamo abbassato la guardia" - riconosce il rappresentante Onu - "per due ragioni: volevamo dare un'immagine di normalità, rompere con l'immagine di un Kossovo in assedio permanente. Contemporaneamente le truppe a disposizione erano diminuite". In cinque anni gli effettivi della KFOR sono in effetti passati da 40.000 a 19.000 uomini ed i responsabili civili e militari internazionali sono stati totalmente incapaci di presagire l'esplosione della settimana scorsa.
Mentre la forza multinazionale pareva impotente e i politici balbettavano, decise sono state le denunce della violenza etnica espresse dalla società civile sia serba che albanese. Osservatorio sui Balcani pubblica le dichiarazioni di varie Ong e il comunicato della Fondazione per il Diritto Umanitario di Belgrado. I comunicati condannano tanto le violenze contro la minoranza serba e non albanese del Kossovo quanto gli atti di rivalsa perpetrati in alcune città della Serbia contro le minoranze presenti nel paese.
Nel contesto balcanico ha suscitato positive reazioni all'estero l'astensione di Belgrado dalle violenze in reazione all'attacco di massa di albanesi armati sui serbi kossovari. Il governo, infatti, è riuscito a tenere sotto controllo le proteste grazie anche ai circoli nazionalisti all'interno della chiesa e persino a quelli dell'opposizione ultranazionalista del Partito radicale serbo (SRS) - scrive ⎀eljko Cvijanovic da Belgrado. Ciò ha fatto sì che Belgrado, la quale si trovava in una pessima posizione diplomatica, sia riuscita a ripresentarsi al tavolo negoziale come un attivo interlocutore e come un elemento più cooperante rispetto ai leader degli albanesi del Kossovo.
Passando alla Bosnia Erzegovina, le violenze in Kossovo non hanno incrinato un quadro generalmente stabile nel Paese dove pure si sono registrati incidenti, ma le reazioni non sono state tali da mettere in pericolo la sicurezza. "Tuttavia, gli incidenti avvenuti in occasione degli avvenimenti del Kosovo segnalano che in profondità ci sono problemi che potrebbero in futuro crescere in maniera esponenziale - nota ancora ⎀eljko Cvijanovic. "In primo luogo, gli attacchi nei confronti delle moschee in Serbia, così come l'attacco nei confronti della chiesa di Bugojno, sono indicatori del fatto che permane una forma di identificazione religiosa e di disponibilità alla rappresaglia in ragione della appartenenza religiosa. La seconda questione importante è la rilevanza dei simboli dell'irredentismo e della unificazione nazionale serba nelle proteste che hanno dimostrato la solidarietà dei Serbi di Bosnia Erzegovina con i Serbi del Kosovo. La questione chiave relativamente al Kosovo, che può influenzare la stabilità in Bosnia Erzegovina, è la decisione futura sullo status finale della provincia".
Uniti nella condanna delle violenze, divisi sulle possibili conseguenze della crisi kossovara: queste sono state le posizioni di alcuni analisti e dei politici della Macedonia. "E' stata l'opposizione albanese a reagire in modo un po' più critico alla situazione, considerando che la comunità internazionale deve garantire la vita democratica di tutti i cittadini kosovari, e se non è in grado di farlo deve lasciare il posto al legittimo governo del Kossovo così che non si giunga a più dannose conseguenze, quali la minaccia della pace nell'intera regione" - scrive da Skopje Stojanka Mitreska. "Ad ogni modo, in generale si può dire che, questa volta, la crisi in Kossovo non ha influito significativamente sulla vita dei cittadini macedoni, i quali in questo momento sono molto più interessati alla campagna elettorale in corso per le presidenziali".
Duro il commento contro gli albanesi kossovari dello scrittore albanese Ismail Kadarè. Diverse volte candidato al premio Nobel per la letteratura, Kadarè denuncia che le violenze in Kossovo hanno colpito il principio della multietnicità e spazzato via i sogni immediati di indipendenza. Lo scrittore sostiene che gli albanesi devono riparare il male che è stato fatto "e penso che il solo modo per farlo è che oggi gli albanesi capiscano che hanno commesso un errore intollerabile e quasi irreparabile quando hanno assaltato le case dei serbi e incendiato le loro chiese, quando hanno colpito gli alleati, la comunità internazionale e le sue bandiere, e devono capire che le teste calde non devono mai anteporre l'ira agli interessi nazionali e della libertà". Kadarè sostiene inoltre che la violenza esplosa in Kossovo sia stata organizzata e afferma che in essa "sono stati coinvolte persone ingenue, ma anche persone colpevoli, come servizi segreti stranieri, avventurieri albanesi e nostalgici del comunismo". Lo scrittore conclude il suo commento con un appello agli albanesi: "devono immediatamente prendere le distanze da tutte le parti oscure del Kosovo e con coraggio separarsi da questo male, per ridarsi un volto di popolo civilizzato che in questi giorni non hanno mostrato". [GB]