Italia: opporsi alla militarizzazione dell'informazione

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Nell'ultima settimana si è aperto in Italia un dibattito sulla riforma del Codice penale militare approvata già in prima lettura al Senato, che mette di fatto a rischio carcere ogni "rivelazione" sulle missioni di pace. Duro commento arriva da Mimmo Càndito, giornalista del La Stampa che parla di "processo di militarizzazione della politica".

Per effetto di queste decisioni diventano operativi gli articoli 72/73 del Codice penale militare sulla "illecita raccolta pubblicazione e diffusione di notizie militari" che porteranno secondo Càndito a limitare totalmente il libero esercizio dei giornalisti sottostando a alla discrezionalità di un comandante militare. " E' un atto gravissimo. E' come se ci venisse messa addosso la divisa militare, esattamente come durante la I e la II guerra mondiale" commenta Càndito secondo cui non si salverebbero neanche i giornalisti embedded, in quanto tutto sarebbe affidato alla discrezionalità di chi dice: tu stai infrangendo una norma del codice militare. "Si ritorna a Lord Cadrington, comandante militare nel 1854 nella guerra di Crimea, che decise per la prima volta il principio della censura militare sulle notizie, di fronte al fatto che il Times aveva inviato sul posto William Russel, il primo corrispondente di guerra moderno che aveva cominciato a raccontare le miserie di quel conflitto. Siamo tornati 150 anni indietro".

Dal mondo dei pacifisti nonviolenti arriva una prima voce di opposizione che sta continuando in questi mesi in varie forme, tra cui il presidio permanente che da oltre 60 giorni vede tutte le sere davanti a Palazzo Chigi alcuni attivisti del Gruppo di Azione Nonviolenta di Roma. Da Enrico Peyretti, membro del Movimento Internazionale della Riconciliazione e del Movimento Nonviolento, arriva una lettera che richiama i politici a diventare veramente responsabili della democrazia e i giornalisti responsabili a fare una pubblica verità. "Parlare liberamente della guerra, denudarne il crimine, è parlare per le sue vittime. Nessuno mai può proibirlo. Nessuno mai può obbedire alla legge della guerra. Noi violeremo questa legge, in nome delle leggi non scritte dell'umanità, e voi ci dovrete difendere. Noi la stiamo già violando in anticipo, con tutte le nostre forze e possibilità" scrive Peyretti in una sua lettera spedita a vari politici e giornalisti.

Per lo studioso canadese Michel Chossudovsky, l'esercito degli Stati Uniti sta insabbiando i crimi di guerra in Iraq. Dopo la messa in onda delle immagini che ritraevano un marine USA che ha colpito a morte a bruciapelo un rivoltoso Iracheno ferito durante l'assedio di Falluja, l'esercito americano afferma che la fucilazione è avvenuta come un caso fortuito, e in seguito al fatto che "un marine della stessa unità era stato ucciso proprio il giorno prima, quando si era diretto verso il corpo morto di un rivoltoso, predisposto a trappola esplosiva." Secondo Chossudovsky aprire un'inchiesta su questo evento "singolo" di un prigioniero di guerra ammazzato innocente fa parte di una campagna di propaganda. Si indirizza l'opinione pubblica a credere che nessun altro sia stato arbitrariamente colpito, che i Marines sono soggetti ad un preciso codice di comportamento e che i prigionieri di guerra vengono trattati umanamente secondo la Convenzione di Ginevra. Una copertura per i crimini ordinati oggetto di documentazione pubblica quali l'uccisione di più di 100.000 civili Iracheni dal momento dell'invasione dell'Iraq nel marzo 2003, dati confermati da un autorevole studio Britannico.

Il numero dei giornalisti arrestati e minacciati dal governo ad interim, instaurato dagli Stati Uniti, è in costante aumento in Iraq. Ai mezzi di informazione è stato impedito in modo particolare di documentare i recenti e spaventosi fatti di sangue a Falluja.

Tra le "100 direttive" firmate dall' ex amministratore statunitense in Iraq, Paul Bremer, troviamo la direttiva n. 65, usata il 20 marzo scorso per istituire una commissione sulle comunicazioni e sui mezzi di informazione iracheni. Grazie a tale direttiva, la commissione ha il potere di controllare i mezzi di informazione ed ha il controllo totale sulla concessione di licenze e sulla regolazione delle telecomunicazioni, delle trasmissioni, dei servizi di informazione e su tutte le altre strutture mediatiche.

E rivolto ai vescovi italiani riuniti in questi giorni è l'appello di sacerdoti, religiosi e laici da Genova a Napoli, da Padova a Perugia. Persone come padre Alex Zanotelli, don Albino Bizzotto, don Luigi Ciotti, don Andrea Gallo, don Vinicio Albanesi, il teologo don Carlo Molari, ma anche laici come il giornalista Renzo Giacomelli e tantissima gente comune, credenti che rispetto al "tacere impressionante" sull'orrore di Falluja sentono un "fremito di coscienza" e vivono "la sofferenza della vergogna e dell'impotenza". La richiesta ai vescovi è quella di condannare "il peccato di chi continua ad uccidere", di sconfessare "con una dichiarazione comune la guerra con le sue violenze, menzogne e crudeltà" e perché ritirino i cappellani militari presenti in Iraq. Alla Conferenza Episcopale Italiana viene chiesto "un segno semplice, eloquente, comprensibile dalle folle di poveri, sfiniti dalla violenza indiscriminata: ritirate i cappellani militari, che in questo momento sono assieme ai soldati italiani di fatto parte della coalizione responsabile di quanto sta avvenendo".[AT]

Altre fonti: Media Watch, Mega Chip, Uruknet.info

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