Italia-Israele: quell'accordo non s'ha da fare

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"Il governo ci tiene e ci chiede di far presto" questa era con tutta probabilità la parola d'ordine che circolava mercoledì scorso tra i membri della maggioranza in Commissione Esteri del Senato, prima che iniziasse la discussione sulla ratifica del Memorandum d'Intesa tra Italia ed Israele per la cooperazione nel settore militare e della difesa. Non è la prima volta che un accordo di questo tipo passa a colpi di maggioranza e con "escamotage" procedurali da manuale. L'ultimo caso è quello dell'accordo di cooperazione nel settore della difesa tra Italia ed Indonesia approvato frettolosamente lo scorso 18 dicembre, poco più di una settimana prima dell'arrivo del devastante tsunami. Qualcuno tra Palazzo Chigi, la Farnesina, il Ministero della Difesa, o le "executive lounge" di Finmeccanica o Alenia deve aver atteso con ansia l'esito delle elezioni in Palestina. Un diverso tipo di ansia però , quella di chi aspetta finalmente che si accendesse la luce verde per fare affari o lustrarsi gli ottoni. Lo dice la stessa relazione introduttiva al disegno di legge di ratifica: "In linea di principio, la sottoscrizione di atti bilaterali va intesa come azione stabilizzatrice di una particolare area/regione, di squisita valenza politica, considerati gli interessi strategici nazionali e gli impegni assunti in ambito internazionale". Tradotto in soldoni: questo accordo è qualcosa di più rilevante di un semplice (seppur censurabile), accordo di collaborazione tra generali dediti ai giochi tattici, o tra rambo di varia foggia o provenienza. Qui il gioco si fa duro, ed i "duri" della Farnesina e di Palazzo Chigi fremono per iniziare a giocare, anzitutto per passare all'incasso del sostegno dato a Washington per la guerra all'Irak. Una parte integrante di questo accordo riguarda la cooperazione nel delicato settore dell'avionica e elettronica militare che, a quanto ci dice Voice of America in una corrispondenza datata 20 novembre 2004, era fino ad allora esclusiva degli Stati Uniti. Ora non più grazie ai servigi del governo Belrusconi.

Nessun altro paese europeo godrà di questo privilegio, ossigeno per l'apparato industrial-militare nostrano. Le carte erano state già distribuite il 18 novembre scorso, prima ancora che il Parlamento avesse in agenda la ratifica del Memorandum d'Intesa, Berlusconi e Martino incontrano il ministro della difesa israeliano Shaul Mofaz ed annunciano lo stanziamento congiunto di 181 milioni di dollari per sviluppare nuovi sistemi di guerra elettronica. Procedura singolare, quella di decidere lo stanziamento di fondi pubblici prima che il Parlamento potesse definire i presupposti di legge per farlo. Se ciò non bastasse, questo Memorandum, che fa carta straccia del fantomatico "Piano Marshall per la Palestina", di fatto pregiudica ogni possibilità per l'Unione Europea di svolgere un ruolo di primo piano nel negoziato di pace tra Palestina ed Israele. Non è solo un attacco ad un negoziato autenticamente multilaterale, ma anche all'Unione Europea, proprio nei giorni in cui viene ratificata la Costituzione Europea, tagliando fuori soprattutto la Francia. Insomma una sorta di vendetta per procura. Come ci viene spiegato sul sito "paginedidifesa.it", usando la modalità della "coalition of the willing" Bush vuole coinvolgere l'Italia nella formazione dell'intelligence palestinese, compito finora affidato all'Inghilterra.

E ancora: secondo quanto riferito dal network italiano Controllarmi, il Memorandum, comprendendo tra gli obbiettivi "l'interscambio di materiali di armamento", rappresenta un grave aggiramento delle normative italiane sul commercio di armi, di quella legge 185/90 che le lobby militari e dell'industria della difesa un paio di anni fa hanno colpito ma non del tutto affondato. La legge 185/90, vale la pena di ricordare, vieta l'esportazione di armi a paesi belligeranti, o verso governi responsabili di violazioni dei diritti umani. In questo caso il paese partner sta costruendo un muro illegale ed occupa sempre illegalmente il territorio di un altro Stato. Ciononostante, "il governo ci tiene".

del senatore Francesco Martone

Fonte: Eco Giustizia

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