Iraq: rapimento di un giorno per due monaci caldei

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Due monaci caldei del Monastero situato a Dora, nella parte meridionale della capitale, sono stati rapiti da sconosciuti che li hanno trattenuti per un giorno, fino a quando non li hanno liberati dopo aver loro sequestrato l'autobus del monastero. Nel caotico panorama iracheno che si va infiammando con l'avvicinarsi delle elezioni di fine mese la fiorente industria dei rapimenti non conosce sosta. Fino ad ora i rapimenti dei non iracheni hanno quasi sempre avuto delle motivazioni dichiarate dagli esecutori come politiche il ritiro delle truppe operanti in Iraq del paese del rapito, lo scoraggiare i lavoratori stranieri a prestare la propria opera a favore delle truppe di occupazione, il ricercare la collaborazione stessa dei rapiti come portavoce degli stessi gruppi di sequestratori.

Diverso invece è il caso dei rapimenti degli iracheni, quasi sempre legati a motivazioni di carattere economico. In Iraq si viene rapiti se si è ricchi, ma anche se si possiede solo un'auto, o un negozio, o una casa, o un pezzo di terra: qualsiasi proprietà che possa in breve tempo essere trasformata in denaro fa gola a chi ha dalla sua parte la completa anarchia in cui vaste zone del paese ancora vivono. Chiunque, quindi, è a rischio, e dunque era prevedibile che prima o poi la stessa sorte sarebbe toccata ai religiosi, la cui liberazione infatti è stata "pagata" con l'autobus del monastero.

Certo però questa spiegazione, così prosaica, potrebbe non bastare alla comunità cristiana irachena sempre più scoraggiata ed impaurita che potrebbe interpretare questo rapimento come un attacco diretto, come parte di quella strategia fatta di minacce, omicidi, bombe e violenze che sembra volerla allontanare per sempre dal paese. I cristiani iracheni, come sempre, sono tra due fuochi. Da una parte le loro speranze di poter vivere in pace nel loro paese vanno spegnendosi con l'aumento degli attacchi nei loro confronti, dall'altra la loro determinazione a resistere si fa più forte perché essi sono e vogliono essere, prima di tutto iracheni, parte integrante della storia di un paese che sebbene con alterne vicende li ha da sempre visti convivere con i fratelli musulmani.

La speranza, quindi, è che questo rapimento altro non sia stato che un ennesimo episodio di criminalità comune, perché l'eventuale fuga dei cristiani dall'Iraq non servirebbe a sanare le ferite del paese che, anzi, ha bisogno di tutte le sue componenti autoctone per ritornare ad essere, come merita, esempio di civiltà e di convivenza per rispetto alle sue stesse tradizioni ed alla sua cultura.

di Luigia Storti

Fonte: Riconciliazione

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