Iraq: l'ora degli sciiti

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Come sosteneva Fisk ieri sulle colonne dell'Indipendent "queste elezioni cambieranno la storia, ma non nel modo in cui si aspettavano gli americani". Secondo i dati l'affluenza alle urne è stata massiccia (si parla del 60 per cento) e non è neppure mancata la violenza: al momento sono 30 i civili e 6 i poliziotti uccisi negli attentati che hanno infiammato la giornata del voto. Il giornalista però, sottolineava come il dato rilevante non fosse tanto quello del voto, ma il fatto che "gli sciiti stanno per ereditare l'Iraq. Le elezioni che domani li porteranno al potere stanno evocando tra i re e i dittatori arabi del Medio Oriente la paura che la loro egemonia sunnita sia minacciata".

Un elemento di analisi che fino a oggi è stato sottovalutato e che si aggiunge alla tendenza irredentista curda nel nord del Paese, al rancore sordo e aggressivo dei sunniti emarginati dalla politica irachena e al dominio sciita in patria. Secondo Fisk "l'America ha insistito molto su queste elezioni, le quali produrranno un parlamento in gran parte sciita che rappresenterà la maggiore comunità religiosa dell'Iraq, perché dovrebbero fornire una strategia d'uscita per le forze statunitensi impegnate nel conflitto, ma sembra che cambieranno la mappa geopolitica del mondo arabo in un modo che gli americani non avrebbero mai immaginato. Per George Bush e Tony Blair questa è la legge delle conseguenze impreviste scritta in grande".

Ancora un passo più lungo della gamba per le cancellerie occidentali quindi, un ennesimo rischio non calcolato sul quale l'esperto del Medio Oriente vede scarsa attenzione da parte dell'amministrazione Bush. Per Fisk tutti sono concentrati sulle operazioni di voto e sulle possibili violenze che ne seguiranno, ma "fuori dall'Iraq, i leader arabi stanno parlando di una "mezzaluna" sciita che correrà dall'Iran attraverso l'Iraq fino al Libano passando per la Siria, il quale gruppo al potere forma un ramo dell'Islam sciita. I diseredati del Medio Oriente, oppressi dagli Ottomani, dagli Inglesi e infine dai dittatori pro-Occidentali della regione, saranno una nuova e potente forza politica", sostiene il corrispondente dell'Indipendent.

"Mentre i partiti politici sciiti in Iraq hanno promesso che non chiederanno una repubblica islamica (i loro discorsi suggeriscono che non desiderano ricreare la rivoluzione iraniana nel loro paese)", continua Fisk, " la loro inevitabile vittoria in un'elezione che i sunniti iracheni in gran parte boicotteranno significa che questo paese diventerà la prima nazione araba ad essere guidata da sciiti. Superficialmente, questo potrebbe non essere apparente; Iyad Allawi, ex agente CIA e ora primo ministro sciita ad interim è da molti indicato come l'unica scelta plausibile per ricoprire la carica di primo ministro, ma i re e gli emiri del golfo stanno affrontando la prospettiva con trepidazione. In Bahrein, una monarchia sunnita governa una maggioranza sciita che ha messo in atto una mini-insurrezione negli anni '90. L'Arabia Saudita ha per lungo tempo trattato la sua minoranza sciita con sospetto e repressione.Nel mondo arabo dicono che Dio ha favorito gli sciiti con il petrolio. Gli sciiti vivono sulle più ricche riserve dell'Arabia Saudita e sopra alcuni dei campi petroliferi Kuwaitiani. Tranne che a Mosul, gli sciiti iracheni vivono quasi esclusivamente in mezzo ai campi petroliferi del proprio paese. La ricchezza petrolifera iraniana è controllata dalla maggioranza assoluta sciita del paese".

Una lotta di potere religioso combattuta con gli strumenti della politica e della lotta per le risorse. Secondo Fisk, i sunniti non staranno a guardare. "Cosa presagisce tutto questo per i potentati Sunniti della penisola arabica?", si chiede Fisk, "la nuova assemblea nazionale irachena e il prossimo governo ad interim che sarà scelto metteranno al potere gli sciiti in tutta la regione, portandoli a chiedere perché non gli si possa dare una giusta parte del potere decisionale del paese. Gli americani all'inizio temevano che le elezioni parlamentari in Iraq avrebbero creato una repubblica sciita islamica e avevano diffuso inevitabili (e non necessari) ammonimenti all'Iran di non interferire in Iraq. Ma ora sono molto più spaventati dal fatto che, senza elezioni, la comunità sciita, che rappresenta il 60 per cento della popolazione, possa unirsi all'insorgenza sunnita. Le votazioni di domani sono dunque, per gli americani, un modo per concludere, una maniera per dichiarare che, nonostante l'Iraq possa non essere divenuto la democrazia stabile e liberale che hanno sostenuto di voler creare, il cammino verso una libertà di stampo occidentale è iniziato e che le forze americane possono andarsene".

Per gli Stati Uniti si è trattato di scegliere il male minore, secondo Fisk, ma il cronista non è convinto che questa si riveli la scelta giusta.
"Pochi in Iraq credono che queste elezioni faranno finire l'insurrezione", commenta Fisk, "men che meno che porteranno pace e stabilità. Tenere le elezioni ora mentre gli sciiti (che non stanno combattendo gli americani) andranno al voto, mentre i sunniti (che stanno combattendo gli americani) non lo faranno, significa solo acuire le divisioni tra le due maggiori comunità del paese. Mentre Washington non aveva chiaramente previsto che questi potessero essere i risultati dell'invasione, la sua richiesta di "democrazia" sta ora muovendo le placche tettoniche del Medio Oriente in una nuova e incerta direzione. Gli stati arabi al di fuori della "Mezzaluna" sciita temono il potere sciita più di quanto temano una democrazia genuina. Non c'è da stupirsi che, quindi, re Abdullah di Giordania stia avvisando che questo potrebbe destabilizzare il Golfo e presentare un "rischio" per gli Stati Uniti. Questo potrebbe inoltre essere una spiegazione per l'attitudine tollerante della Giordania verso l'insorgenza, molti dei quali leader attraversano il confine con l'Iraq".

Fisk conclude con una valutazione che fa riflettere: "Le elezioni potrebbero anche produrre un parlamento talmente ingombro di candidati sciiti che gli americani sarebbero tentati di "integrare" i membri dell'assemblea sunnita scegliendone alcuni dei propri, che inevitabilmente saranno accusati di collaborazionismo. Ma stabilirà il potere sciita in Iraq (e nel mondo arabo in generale) per la prima volta dalla grande scissione tra i sunniti e gli sciiti conseguente alla morte del Profeta Maometto". Staremo a vedere.

da Peacereporter

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