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Iraq guerra 'illegale': l'intervista a Kofi Annan
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Inghilterra e Australia in prima fila, sono cominciate in queste ultime ore le reazioni "indignate" del mondo - o meglio di alcuni dei Paesi aderenti alla coalizione impegnata dalla primavera 2003 nel conflitto iracheno - alle anticipazioni dell'intervista concessa alla britannica Bbc dal Segretario Generale dell'Onu Kofi Annan sull' "illegalità" della guerra in Iraq. Sarà allora opportuno tradurre prima di tutto, nella maniera non più elegante ma più fedele possibile, gli excerpta, gli estratti dell'intervista che la stessa Bbc, dopo le prime anticipazioni, ha da poco messo in rete. (L'intervista integrale si potrà sentire solo a partire da sabato sul Bbc World Service.)
- Kofi Annan (rispondendo a una domanda): "Io sono uno di quelli che credono che avrebbe dovuto esserci una seconda risoluzione perchè il Consiglio di Sicurezza indicò che se l'Iraq non avesse risposto ci sarebbero state conseguenze. Ma allora toccava al Consiglio di Sicurezza approvare o determinare quali quelle conseguenze dovessero essere".
- Domanda (della Bbc): Quindi lei non ritiene che esistesse un'autorizzazione legale per la guerra?
- Risposta: Ho detto chiaramente che non era in conformità con il Consiglio di Sicurezza, con la Carta dell'Onu.
- Domanda: Era illegale?
- Risposta: Sì, se vuole."
E' questo il cuore dell'intervista che sta sollevando reazioni nel mondo, anche se quelle ufficiali americane stentano a presentarsi (forse anche a causa del fuso orario) e si limitano per ora al commento di un oscuro funzionario - guarda caso ex-consigliere del ministro della Difesa Donald Rumsfeld - che, con velenosa miopia, ha definito le parole di Annan "interferenza" nelle elezioni americane del prossimo novembre. In fondo in fondo, a ben guardare, almeno da un punto di vista formale, il termine "illegale" viene però introdotto dall'intervistatore e a lui resta affidato. Annan sottolinea la "non conformità" con le decisioni e le procedure del Consiglio di Sicurezza e con la Carta delle Nazioni Unite e si limita ad assentire a una domanda sull'illegalità.
Senza nascondere nè Annan nè le sue evidenti convinzioni nè niente altro dietro un dito, pure è significativo che, diversamente da come i mezzi d'informazione hanno grossolanamente riportato la notizia, il Segretario Generale non abbia mai pronunciato la parola "illegale" che gli è stata così facilmente attribuita. Quasi in secondo piano è passato un altro e forse più rilevante aspetto dell'intervista.
- Domanda: Come lei sa, in Iraq dovrebbero tenersi elezioni in gennaio. Sarà possibile farle?
- Risposta: C'è molto da fare. Abbiamo aiutato l'Iraq a costruire la struttura per le elezioni. Nonostante la situazione della sicurezza, ho assunto un rischio calcolato e mandato due squadre: una guidata da [Lakhdar] Brahimi, che li ha aiutati ad allestire un governo ad interim e un altra guidata da Karina Pererira, responsabile della nostra divisione elettorale e li abbiamo assistiti per mettere le basi legali della normativa elettorale per i partiti politici e per una commissione elettorale indipendente. Alcuni dei funzionari sono stati formati in Messico e sono pronti a partire. Ci sono molte cose che gli iracheni devono fare da soli. Li consiglieremo e li assisteremo, saranno loro a gestire le elezioni, non noi. Forniremo suggerimenti e assistenza e io spero che saranno capaci di fare tutto quello che devono ma la sicurezza sarà certamente un fattore.
- Domanda: Ma lei onestamente si aspetta elezioni a gennaio? Sembra impossibile...
- Risposta: Non si possono tenere elezioni credibili se le condizioni della sicurezza continuano ad essere quelle attuali.
Ancora una volta è l'intervistatore ad assumersi l'onere esplicito delle affermazioni sulle elezioni. E naturalmente le informazioni diffuse sono che Annan ha parlato di impossibilità di elezioni a gennaio in Iraq, mentre in fondo si è limitato ad accennare a elezioni "non credibili" se la situazione resta la stessa di oggi. Qualcuno potrebbe dargli torto viste le cronache irachene di ogni giorno? Questioni di lana caprina? Forse no, nel caso di dichiarazioni ufficiali di uno dei pochi "statisti" del mondo degno di questo nome. E per statisti, qui si intende qualcosa di più importante che il capo di un solo governo nazionale e molto molto di più della qualifica di diplomatico internazionale di solito riconosciuta ad Annan.
Darfur e genocidio
Veniamo agli altri argomenti toccati dal Segretario Generale dell'Onu nella stessa intervista, per lo meno quelli finora noti attraverso gli 'estratti' pubblicati: Darfur e Medio Oriente. Per questi, ovviamente , i grandi mezzi d'informazione, non essendo le reazioni di Annan facilmente 'spettacolarizzabili', in pratica non scrivono o comunque mettono in secondo piano.
- Domanda: Il segretario di stato americano Colin Powell ha detto che quel che succede in Sudan è genocidio; lei è d'accordo con lui?
- Risposta: "... ho parlato delle atroci, sistematiche e gravi...enormi violazioni dei diritti umani e delle violazioni del diritto umanitario internazionale...Credo che il Consiglio [di Sicurezza] sia pronto...stia discutendo il tema dell'allestimento di una commissione".
- Domanda: Quanto tempo occorrerà perchè lei sia in condizioni di designarla?
- Risposta: "Non posso darle alcun termine. Saremo preparati a muoverci al più presto possibile. Ma ho anche chiarito al Consiglio che non dobbiamo attendere quei risultati per agire. La situazione è tanto seria da spingerci all'azione, a mantenere pressioni sul governo per fare tutto quello che possiamo per assistere la popolazione sudanese mentre loro appoggeranno la forza africana allargata che andrà in Sudan".
Qui Annan sembra rientrare più nei canoni della diplomazia. Non smentisce Powell direttamente, nonostante la provocazione del giornalista. Parla restando in una certa misura nel vago. Ma è evidente che, ben conoscendo il valore e le implicazioni di diritto internazionale del termine genocidio, non concorda affatto con Powell e con tutta quella parte del mondo che cerca di far passare quel che accade in Darfur per qualcosa di diverso da quello che è; e cioè una grave crisi umanitaria, forse la più grave oggi in atto in Africa, provocata dal perdurare di un conflitto tra il governo di Khartoum (che si ritrova sul terreno degni suoi alleati) e due gruppi ribelli che, guarda caso, sono emersi e hanno acquistato prominenza internazionale (ed enormi appoggi di varie fonte, non solo politici) proprio quando il processo di pace con il Sud Darfur, dopo anni di instabilità, sembrava avviato a una conclusione positiva, peraltro ancor oggi non completamente ratificata.
Per quel che riguarda l'uso del termine "genocidio", è evidente che Annan tiene conto di quel che molti cercano di ignorare: il tremendo crimine, che ha acquisito rilevanza giuridica soprattutto dopo la "shoa" nella seconda guerra mondiale - e di recente dopo la tragedia ruandese del 1994 - trova una sua definizione e base di diritto, forse discutibili e aggiornabili ma non accantonabili, in una delle prime Convenzioni dell'Onu (1948) ratificata da oltre 130 Paesi. Fuori da questo contesto, l'uso del termine può avere solo valenze politiche di pressione o di propaganda, ma non può dar adito a provvedimenti di diritto internazionale. Anche qui, dunque, ci si trova - sebbene Annan non vi abbia fatto neppure indiretto riferimento - dinanzi a una questione di legalità internazionale; anche se è vero che, dopo la guerra in Iraq, il diritto internazionale ha subito ferite difficilmente curabili.
Questione mediorientale
E per finire, la questione mediorientale.
- La Bbc chiede: "Il primo ministro israeliano [Ariel Sharon] ha detto che intende uscire da Gaza, senza alcun riferimento alle Nazioni Unite, solo agli Stati Uniti. Possiamo dire che ormai, alla luce di questo, il 'tracciato di pace' (Roadmap) è finito una volta e per tutte?
- Risposta: "Il 'tracciato' è in profonda, profonda sofferenza ... in profonda sofferenza. Non ci siamo ancora arresi. So che dichiarazioni sono state fatte dagli esponenti della regione secondo i quali si starebbero allontanando dal tracciato e in effetti il 'quartetto' [Onu, Russia, Unione Europea e Stati Uniti] si incontra la prossima settimana. Non so che tipo di incontro avremo per discutere gli sviluppi sul terreno che sono diventati molto complessi e molto difficili. Hanno problemi dal lato palestinese e ci sono problemi politici in Israele e, ovviamente, anche in questo Paese, abbiamo elezioni e dobbiamo capire dove ci troviamo e dove andiamo, cercando di anticipare in che modo le cose muteranno e quale corso d'azione noi come quartetto vogliamo seguire".
Anche qui Annan non si sbilancia ma chiaramente lascia intendere che fuori dal tracciato di pace e dalle iniziative concordate con il quartetto, ancora una volta non c'è legalità, pur senza che la parola venga mai nominata.
Ma si può poi davvero ridurre tutto solo a una questione legale o illegale? Dall'Iraq al Medio Oriente al Darfur, lo scenario è sempre caratterizzato da conflitti, da situazione belliche ad intensità maggiore o minore, con andamenti diversi, ma pur sempre guerre. Che fanno parte o si sviluppano sullo scenario di un'unica grande guerra, la "madre di tutte le guerre", quella al terrorismo impostata dagli Stati Uniti dopo l'11 settembre 2001; a cominciare dall'Afghanistan che, pur diversa, resta un'altra situazione con caratteristiche belliche (basterà ricordare i recenti fatti di Herat e Kandahar con decine di morti, coprifuoco e popolazioni civili in costante situazione di insicurezza a poche settimane da altre elezioni in qualche modo 'costruite' ad hoc).
Non a caso "L'Osservatore Romano" di oggi 16 settembre, scrivendo da New York sulla 59⪀ Assemblea Generale delle Nazioni Unite, apertasi l'altro ieri al Palazzo di Vetro, apre la prima pagina con il titolo "Il terrorismo non si vince con la forza delle armi" e afferma: "La sfida planetaria del terrorismo e la necessità di darvi risposte internazionali diverse da quelle di carattere principalmente militare finora proposte, rivelatesi non solo inadeguate, ma tali da allargare il tragico fenomeno, costituiscono uno tra i principali argomenti posti all'attenzione dell'Assemblea dell'Onu, con l'invito rivolto ai delegati dei 191 Paesi membri dal Presidente Jean Ping, ex Ministro degli esteri del Gabon, ad osservare un minuto di silenzio e di meditazione". Forse è proprio a questo contesto che vanno ricondotte tutte le parole di Kofi Annan, dalle più diplomatiche alle più esplicite. Aggiungendo anche qualche altra misura di silenzio e di meditazione invece che il ricorrente rumore della facile propaganda di parte.
di Pietro Mariano Benni