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Iraq: diserzione nell'esercito Usa e tra cappellani
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Mentre le fila dei combattenti ribelli sembrano ingrossarsi e ribollire di entusiasmo per la causa, i soldati statunitensi impegnati in Iraq sono sempre più stufi e delusi. Il malessere è esploso in maniera plateale quando il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld è stato contestato dagli stessi militari. Ma il disagio delle truppe è un problema cresciuto costantemente nell'ultimo anno. E mentre tra i ranghi dell'esercito aumentano le defezioni, il Pentagono deve escogitare nuovi metodi per mantenere alto il numero dei militari disponibili. Recentemente il programma 60 minutes della Cbs ha rivelato che, dall'inizio della guerra, più di 5.000 soldati hanno disertato. Ma ci sono anche altri segnali della disaffezione dei soldati. Per la prima volta negli ultimi dieci anni, la Guardia Nazionale non è riuscita a raggiungere il numero di arruolamenti che si era prefissata: cercava 56.000 uomini, ne ha trovati 51.000. Ma il numero di soldati impegnati al fronte potrebbe comunque non bastare. E per questo il Pentagono sta puntando su un serbatoio di militari da cui non aveva ancora attinto: quello delle donne.
Un disagio inconfondibile e oramai palese tra i soldati impegnati nella missione americana. "Stanchi della guerra o disillusi dal governo, centinaia di soldati americani scelgono di disertare: aumento del 40 per cento dei suicidi fra i soldati in Iraq lo scorso anno; nel 2003 l'esercito americano ha registrato 2.774 disertori. "Si sta in certo modo ripetendo il fenomeno già occorso nella guerra del Vietnam, dove i soldati americani morti per suicidio furono il doppio di quelli rimasti uccisi in battaglia.
Si aggiunga che la metà dei soldati cosiddetti americani presenti oggi in Iraq non sono nemmeno americani, ma immigrati che, non avendo ancora il passaporto regolare, lo potranno avere, con l'ottenimento della cittadinanza americana, solo dopo aver combattuto in Iraq per un tot di anni" ha dichiarato padre Angelo Cavagna del Gavci in una lettera di pressione sull'aumento delle spese militari nella finanziaria. Anche un cappellano, don Arcangelo, della missione militare italiana in Iraq, ha lasciato motivando: "Ho fatto una scelta di pace e questo non è più l'esercito che porta la pace. Molti di loro ci credono, sono bravi ragazzi, ma io ho 46 anni.... Cosa aspettano a capirlo gli altri cappellani militari e soprattutto i nostri politici, anche parecchi di quelli di centro e di sinistra?"
E proprio dalle Ponteficie opere missionarie è stato stampato un calendario dell'ordinariato militare in Italia che ritrae situazioni di "missioni di guerra benedetta". I giovani dell'impegno missionario dei Comboniani hanno denunciato questo sul loro sito chiedendo che non vengano più fatti questi abbinamenti. "Come cristiani invochiamo in questo avvento il Dio della Pace e della Nonviolenza". Al motto "O il battesimo o l'esercito" i missionari comboniani si sentono di fare di nuovo appello alle parole del card. Martino e del card. Tauran, che hanno definito la guerra in Iraq "ingiusta e immorale". Ci sentiamo confusi per via di un magistero contraddittorio e riconosciamo che le posizioni favorevoli alla guerra e alla difesa dei nostri interessi sono contrarie al Vangelo. Per questo viene rilanciato l'appello rivolto verso i vescovi della CEI perchè ritirino i cappellani militari dall'Iraq. I missionari inoltre rifiutano l'uso dell'espressione "Missione di Pace" riferita all'azione dell'esercito. "Conosciamo l'ambiguità della presenza militare in tanti paesi del mondo e -insieme alla rivista Nigrizia- denunciamo la militarizzazione stessa dell'aiuto e della cooperazione. Nella storia dei paesi in cui viviamo troppo spesso la Chiesa è stata al fianco dello stato e la croce è stata affiancata alla spada.[AT]
Altre fonti: Giovani e Missione, Campagna Sbilanciamoci, Peace Reporter