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Inno ai naufraghi e ai marinai
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Nonostante qualche recente apparente smentita, l’acqua non è il mio elemento. Dipende forse dal fatto che ho imparato da grande a nuotare, quando le paure che da bambina ignori intanto hanno preso radici nella testa. O dal fatto che mi viene da respirare sott’acqua. O dalle vertigini a guardare quel blu profondo su cui galleggi, che raccoglie infinite profondità e vite sotto la superficie che ti sostiene. Mi è capitato più di una volta, quando ho preso qualche mezzo di mare, di pensare a chi sulle coste ci approda su una barca sconquassata… quando va bene. Ho attivato una sorta di trasposizione meditativa: ho visualizzato le paure, quei buchi tra le onde alte, la vicinanza con tanti sconosciuti, il terrore di perdere chi ami e vuoi salvare, i dubbi di aver fatto la scelta giusta, il desiderio feroce di un futuro migliore. E’ stato un pensiero che mi ha cullata nell’empatia, nella rabbia, nell’angoscia, nell’ammirazione e nel coraggio… fino a quando ho rimesso i piedi sulla terraferma. Ma è un pensiero che ritorna spesso, anche quando porto i passi in cresta: in fondo è vero, il mare non sarà il mio elemento, ma sono nata tra le Dolomiti, che conservano incastonata tra le rocce una vita che un tempo era sott’acqua. In vetta si trovano conchiglie e una cosa che al mare non c’è: l’eco. Rimbalza tra le pareti, e a volte racconta storie salate come questa, che sarebbe un peccato perdere, soprattutto di questi tempi.
Il protagonista è Gaspare Giarratano, poco oltre i sessanta, armatore del motopeschereccio “Accursio Giarratano”, natante autorizzato alla pesca mediterranea che può solcare le acque internazionali. Gaspare è un uomo di mare come tanti, svegli quando gli altri dormono, difensore dei diritti quando gli altri li calpestano. Un uomo che le profondità che naviga le conosce e le domina, ma ne conosce anche le regole, le rispetta e le pratica. Una di queste regole è che “l’assistenza a nave o ad aeromobile in mare o in acque interne, i quali siano in pericolo di perdersi, è obbligatoria, in quanto possibile senza grave rischio della nave soccorritrice, del suo equipaggio e dei suoi passeggeri, oltre che nel caso previsto nell’articolo 485, quando a bordo della nave o dell’aeromobile siano in pericolo persone”. Ovvio, no? A volte la legge sembra mettere nero su bianco cose così scontate… O no? Beh, non proprio, data la quotidiana diatriba su chi far affondare e chi salvare, come in un terrificante passatempo giocato non sul tavolo o al pc, ma sulla vita delle persone.
Non so se Giarratano avesse in testa esclusivamente gli articoli 489 e 490 del codice della navigazione marittima e interna quando la scorsa settimana ha soccorso una cinquantina di persone disidratate e in evidente difficoltà nelle acque maltesi, ma non credo. Probabilmente aveva in mente come sempre uno dei due figli, non quello che condivide con lui rotte e onde, ma l’altro, quello scomparso per un male incurabile da un tempo che non diventa mai passato. Salvare vite è il suo modo di onorarne la memoria, ma non è l’unica ragione. “E’ giusto così”, ha dichiarato, mettendo un punto con un’inappellabile affermazione al dibattito sulle motivazioni per cui agire: è la coscienza il motivo, prima ancora della legge. E il figlio Carlo ha confermato: “Non li avremmo mai lasciati alla deriva, torneremo a casa dalle nostre famiglie dopo che avremo conosciuto la loro sorte".
I fatti sono noti e li sapete, come sapete quelli della storia della comandante Carola e di tanti altri che come loro hanno ben chiaro da che parte orientare le vele, anche quando il vento soffia contrario e ostile. Ci muoviamo in un universo politico e legislativo, nazionale e internazionale, che è un gruviera di articoli, interpetazioni incerte, vocabolari complessi (basti pensare alla controversa definizione di “porto sicuro”). Ma a volte non serve avere tutti gli elementi per decidere, conoscere ogni norma, valutare ogni sfumatura: a volte è l’istinto che ci impone la cosa giusta da fare, la vita che ci chiede di darle ascolto. A volte, in un’Italietta che affoga nell’odio, a tenere a galla anche noi, gente di terraferma, è l'etica dei pescatori, contro la violenza e l'ignoranza.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.