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In Senegal dopo la pioggia non torna il sereno
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L’emporio di Nourou, bloccato dalle acque stagnanti - Foto: L. Michelini ®
L’estate in Senegal, Africa sub-sahariana, dura da agosto ad ottobre e coincide con la stagione delle piogge. Un centinaio di giorni in cui questo lembo di Sahel è bagnato sporadicamente dall’acqua, tanto agognata nelle zone rurali del paese per l’avvio della stagione agricola, quanto temuta nelle città, dove ogni anno si verificano inondazioni con conseguenti danni ad abitazioni, attività commerciali, ma anche vittime e sfollati.
Nella capitale del paese bastano pochi minuti d’acqua e tutto si blocca. Le strade principali si allagano, mentre quelle secondarie, a base di terra e sabbia, vedono l’acqua piovana mescolarsi lentamente con quella delle fogne che straripano. A Ngor, quartiere centrale di Dakar, il grande campo da calcio che fa da punto di riferimento per i giovani del posto, in questo periodo dell’anno diventa un grande bacino d’acqua, ottimo ambiente per lo sviluppo delle larve di zanzare. Ma questo non è nulla in confronto a quanto accade nella banlieue della grande capitale senegalese.
Adama Sall abita a Keur Massar, appena trenta chilometri dal centro di Dakar ma già profonda periferia. ``Ogni anno devo alzare il livello del pavimento di almeno una ventina di centimetri per evitare che l’acqua entri in casa``, racconta Sall mentre con la mano indica l’intonaco scrostato ad un metro da terra, testimone dei ripetuti allagamenti. “Devo sostenere 450.00 fcfa di spese (circa 700 euro) ad ogni stagione delle piogge per pagare il carpentiere e tutto il materiale occorrente per rifare pavimentazioni e soffitti”. Questa somma che può sembrare tutto sommato affrontabile, per una famiglia senegalese come quella di Sall, dove le figlie vendono saponi al mercato e lui sta aspettando di ricevere i meritati contributi pensionistici da più di dieci anni, è un’immensità.
Una tenda sbiadita nasconde la vecchia camera da letto dell’uomo, un armadio è adagiato sopra grandi mattoni ancora sommersi dall’acqua. Infatti, diverse stanze della sua abitazione, ma come quelle di molti altri abitanti di questo quartiere, sono ancora inagibili per l’acqua che ristagna e ristagnerà per mesi. ``Non abbiamo motopompe e così aspettiamo che se ne vada un po’ alla volta, nel frattempo siamo costretti a tagliare i fili della corrente elettrica per evitare che qualcuno prenda la scossa mentre cammina nell’acqua, come accaduto la settimana scorsa ad un giovane di qua”, spiega l’uomo.
Molti altri come Sall vivono la stessa situazione in concomitanza delle piogge torrenziali, che pur essendo molto brevi, si lasciano dietro ricordi amari. L’anno scorso a Camberene in seguito ad una pioggia notturna, un bambino ha perso la vita perché si è svegliato di notte e scendendo dal letto, inconsapevole della presenza dell’acqua nella cameretta, è annegato.
A Dakar, come in molte altre metropoli africane, il fenomeno dell’urbanizzazione è in piena crescita: tra l’esodo rurale, ancora più incalzante per gli strascichi del Covid-19, e gli affitti dei quartieri centrali decisamente insostenibili ai più (secondo Le Monde tra il 1994 e il 2014 nella regione di Dakar gli affitti sono aumentati del 256%, link), la periferia sta registrando una crescita demografica vertiginosa. Nel cuore della capitale un affitto si aggira sui 400.000 fcfa, ovvero 600 euro, nella banlieue vale quattro volte di meno, col vantaggio di trovarsi poco distanti dal centro ma, purtroppo, molto lontano dagli occhi delle autorità.
Un colonnello dell’arma senegalese in pensione e residente anche lui a Keur Massar, spiega che il problema delle alluvioni è relativamente recente. Alla fine degli anni novanta, quando le autorità comunali, con il beneplacito di quelle statali, hanno dato il via libera alla trasformazione di questi terreni in parcelle edificabili, non hanno avvisato gli acquirenti della prossimità della falda freatica al suolo. ``Qua trent’anni fa si coltivava riso, ma noi non lo sapevamo perché dopo la grande siccità degli anni ‘80, ce ne siamo dimenticati. Il Comune avrebbe dovuto avvertirci che queste zone sono a rischio allagamento, loro lo sapevano e non hanno detto nulla, l’importante per loro era vendere questi lotti di terra``. Ed è proprio per l’esplosione edilizia che le piogge sono diventate un problema: il cemento ha reso il suolo più impermeabile e l’acqua non trova vie di fuga per essere drenata.
Man mano che ci si allontana dalla strada principale e ci si addentra nel cuore di Keur Massar, il contesto si fa sempre più povero e degradato. Le case lasciano il posto alle baracche e si percepisce che l’acqua delle prime piogge stagionali è qui da molto tempo per la presenza delle piante tipiche degli ambienti paludosi. L’aria è maleodorante, oltre che piena di zanzare, e le rane gracidano incessantemente.
Madame Seck è appena tornata a casa sua dopo un mese passato nella piccola scuola adibita a ricovero per gli sfollati delle inondazioni. ``Per colpa delle piogge ho perso mio figlio, abbiamo fatto il suo funerale la settimana scorsa``, racconta senza avere la forza di piangere. ``Una volta lasciata la nostra casa, lui ha preso la malaria ed è morto. Ogni anno è così: piove, i bambini si ammalano di malaria, disturbi intestinali o scabbia. Abbiamo paura che arrivi anche il colera``.
La casa dove abita Madame Seck, è molto umile: una semplice struttura di mattoni e un tetto in lamiera; ora la famiglia è tornata a vivere qui, ma per passare da una stanza all’altra hanno dovuto improvvisare delle passerelle con sassi e mattoni. ``Dichiaro sempre i danni subiti alle autorità comunali, ma non si fa ma vivo nessuno, neanche per un sopralluogo. Le autorità non sono mai venute fin qua, si fermano dove inizia la periferia, ma dovrebbero vedere con i loro occhi in che condizioni viviamo”, continua la donna.
E anche la scuola che ha lasciato da poco, non è da meno. Tra materassi a terra, zanzariere strappate, acqua non potabile, l’impressione è che neanche qua la gente possa considerarsi al riparo dalla pioggia.
Ma cosa fa lo Stato di fronte a questo scenario? Nourou, ha un piccolo emporio a Keur Massar, ``Non ho avuto clienti per due settimane perché non riuscivano ad attraversare la strada e raggiungere il negozio``, racconta spiegando che nella maggior parte dei casi non è lo Stato a fornire tubi e motopompe, ma sono gli abitanti stessi a doversi fare carico delle spese per l’acquisto di questi materiali e del carburante necessario per azionarli.
Il governo del Presidente Macky Sall ad agosto ha lanciato il piano ORSEC (il Piano Nazionale di Organizzazione dei Soccorsi), ma l’attivazione di questi fondi sembra essere diventata un'abitudine e non sempre, come nel 2020, le risorse a disposizione bastano a fronteggiare le conseguenze dei disastri registrati (link).
Inoltre, come se non bastasse, pare che quest’anno siano stati deviati quasi 2 miliardi di fcfa (ovvero 3 milioni di euro) dalle società responsabili dell'evacuazione delle acque stagnanti. Da un articolo su Africanews si legge che la società incaricata nel fornire 27 elettropompe a Keur Massar, ne ha installate solo due, una delle quali non funzionante (link).
Monsieur D.A., funzionario del Ministero dell’Urbanistica del Senegal, dichiara: “Non si può imputare tutto al cambiamento climatico, che esiste, è chiaro. Il problema di questi quartieri è principalmente legato all’assenza di un buon sistema fognario e di canalizzazione delle acque, cosa gravissima per un territorio dove a priori non si doveva neanche costruire. La maggior parte delle abitazioni hanno delle fosse a fondo cieco invece di essere collegate alla rete igienico-sanitaria e ne consegue che ogni volta che piove straripa tutto”.
Oltre alle abitazioni, la periferia della città è dilaniata anche da grandi progetti infrastrutturali quali l’autostrada, che collega la capitale al nuovo aeroporto (progettata dal gruppo francese Eiffage) e ora dai cantieri del Treno Espresso Regionale, che stanno ostacolando le naturali vie di deflusso dell’acqua. E secondo un detto locale l’acqua non abbandona mai il suo cammino. “Se si fossero considerati, e se si considerassero tuttora, i piani di urbanizzazione, le inondazioni non sarebbero un problema così grave”, spiega D.A.
Piani edilizi non rispettati, mala gestione, negligenza, il tutto condito con un bel po’ di cambiamento climatico che nei paesi saheliani avanza a ritmi galoppanti, come evidenziato dal recente studio dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) 2021 che prevede un aumento della frequenza e dell'intensità delle precipitazioni in caso di ulteriore incremento del riscaldamento globale.
Molti degli immigrati senegalesi che ogni anno arrivano via mare in Italia partono proprio queste zone di periferia, forse ci sarà un perché.
Lucia Michelini e Al Bachir Yaya Bodian
Lucia Michelini

Sono Lucia Michelini, ecologa, residente fra l'Italia e il Senegal. Mi occupo soprattutto di cambiamenti climatici, agricoltura rigenerativa e diritti umani. Sono convinta che la via per un mondo più giusto e sano non possa che passare attraverso la tutela del nostro ambiente e la promozione della cultura. Per questo cerco di documentarmi e documentare, condividendo quanto vedo e imparo con penna e macchina fotografica. Ah sì, non mangio animali da tredici anni e questo mi ha permesso di attenuare molto il mio impatto ambientale e di risparmiare parecchie vite.