Il volontariato non è il limoncello ma il come si sta a tavola

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Foto: Vita.it

Proponiamo la trascrizione del bellissimo intervento di Luigino Bruni al Comitato editoriale di Vita.

La crisi del Covid ha fatto capire meglio alcune cose sul volontariato. Ha fatto capire soprattutto che cosa è la cura, che cosa è questo bene maltrattato, malpagato, questo bene non stimato in quanto bene relazionale che è la cura. Anche se il volontariato non è solo cura ed è anche altre cose, però ciò che ha in comune la cura con il volontariato è questa insufficiente stima sociale perché tutto ciò che ha a che fare con le mani, con il prendersi cura degli altri, con la gratuità è stato per troppo tempo qualcosa non considerato, non guardato come qualcosa di serio per la vita economia, per la vita politica.

Il volontariato non è il limoncello ma il come si sta a tavola 

A volte noi diciamo, usando una metafora che magari aiuta, che il volontariato è un po’ come il limoncello durante la cena, cioè dopo il primo il secondo, il contorno la frutta se c’è viene il limoncello, se non c’è si mangia lo stesso. Insomma, qualcosa di non essenziale, qualcosa per le anime belle, qualcosa che fanno le persone particolarmente motivate, però in fondo è un lusso che ti puoi permettere quando sei in pensione, quando hai tempo ma non è qualcosa di essenziale. Questo è un antico problema, la carità dà il di più, il di più che poi diventa non necessario e finisce con il diventare superfluo.

Quindi il volontariato oggi deve lavorare culturalmente – già lo fate ma bisogna insistere - non rivendicando, ma dicendo, mostrando, facendo vedere che non è il limoncello ma è il pranzo. È il come si sta a tavola. Chi mangia e chi non mangia, come si distribuisce il cibo, come devono essere i rapporti mentre si mangia. Ecco perché l’arte della gratuità non è l’arte delle cose gratis, è l’arte del vivere, è l’arte dell’eccedenza necessaria per poter vivere bene insieme.

Quindi, la disistima per la cura, considerata in passato faccenda di schiavi, di servi e poi di donne per tanti secoli costrette a occuparsi di cura ha accomunato, ha portato con sé anche una disistima per il volontariato che è una cosa che non si addice alle persone serie che hanno da fare. Quindi, se noi non lavoriamo lì, su questo punto, il volontariato come bene primario della vita in comune, come qualcosa che quando manca è come l’aria, finché c’è non te ne accorgi, ma quando ti ammali capisci cosa è. Il volontariato va rivisto e considerato molto dal punto di vista proprio culturale, antropologico, sociale.

Il Volontariato è un asset non un lusso 

Secondo punto. Mi è piaciuta molto questa vostra proposta di chiamarlo patrimonio, capisco meno perché avete aggiunto immateriale perché non c’è nulla di più materiale di un gesto volontario. Mi piace molto perché innanzitutto il volontariato è un patrimonio. Patrimonio voi sapete viene da “patres munus” che vuol dire il “dono dei padri”. Il patrimonio tu lo ricevi, lo erediti, noi oggi stiamo consumando virtù civili delle generazioni precedenti essenzialmente. Il volontariato ha bisogno di un patrimonio di virtù civili che noi oggi stiamo consumando e non siamo capaci di generare a nostra volta. Oggi noi siamo in debito di virtù civili, ne stiamo consumando tante che sono state prodotte dalla generazione dei miei genitori, ma ne stiamo generando poche. Quindi è un dono dei padri essenzialmente, uno stock di una collettività che ci precede. È un patrimonio, un asset non è un lusso. È qualcosa che assomiglia molto a un edificio, assomiglia molto a un giacimento di diamanti, di petrolio, cioè ha a che fare con gli asset non ha a che fare con il flusso di reddito annuale, non è il Pil è molto più simile a un edificio, a una chiesa, a una cattedrale. Quindi sono faccende immobili, non nel senso che non si muovono, ma nel senso che sono più grandi dei flussi annuali del Pil e delle corse del nostro tempo. Ecco perché funziona l’analogia con il patrimonio, il patrimonio dell’umanità come un parco di una montagna, o una cattedrale. Come tutti i patrimoni ha radici localizzate in un posto preciso, quindi non è un bene generico, non è un qualcosa di vago. Ha identità precise, ha nomi e cognomi , spesso anche tradizioni culturali precise, questo non gli impedisce di essere un bene comune e universale. Le radici non gli impediscono di essere un bene di tutti, anzi a volte noi tendiamo a contrapporre ciò che ha radici col bene comune che sembra qualcosa che non deve essere legato troppo a un territorio a una storia. No, il volontariato è come una chiesa ben ferma nel territorio, con un’entità locale eppure non c’è niente di più universale. Come Notre Dame e lo abbiamo visto quando si è incendiata, o del Duomo di Milano. Quindi anche qui il volontariato ha radici ma è un bene comune.

Un patrimonio deve essere curato, accudito

Terzo passaggio, il bene comune come tutti noi sappiamo dalla teoria economica che è un bene che ha una sua storia, una sua identità e una sua radice che però produce quelle che in economia si chiamano esternalità. Cioè ha effetti di bene pubblico, cioè il suo beneficio va molto al di là dei suoi utilizzatori. Il primo bene comune che conosciamo tutti è un bambino che sicuramente è dei genitori ma far crescere un figlio va molto oltre come benefici dei benefici della famiglia dove cresce, così ogni bene comune è un bene privato cosiddetto con esternalità pubbliche. Cosa vuol dire? Che beneficiano di quel patrimonio molte più persone di quelle che lo creano e di quelle che lo alimentano...

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