Il riscatto delle “schiave” romene abusate

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Ai lavori forzati, dalla Romania alle serre del Ragusano. La storia è di quelle che vorresti aver capito male: il paese, almeno l’epoca. Invece no: ora e qui – anche se il «qui» sembra lontano, la provincia all’estremo Sud, quasi un «altrove» consolatorio. Forse persino per i ragusani. Altrimenti non si spiega come un esercito di 5mila “donne invisibili” abbia potuto vivere in schiavitù per anni in Sicilia finché un giornale straniero – l’Observer– ha fatto luce sul dramma.

La metà delle lavoratrici rumene nei campi di Ragusa sono sfruttate «anche sessualmente» dai caporali italiani. La denuncia arriva da un parroco, don Beniamino Sacco, che al quotidiano britannico ha raccontato la sua lotta silenziosa (meglio: inascoltata) durata anni.

«Le donne rumene vivono come schiave nell’indifferenza delle autorità» denuncia Sacco. «Ne ho viste tante con i miei occhi, venire da me in cerca di aiuto, dopo aver subito abusi in silenzio per paura di perdere il lavoro». La buona notizia è che le istituzioni si sono mosse. A seguito del servizio il primo ministro rumeno Sorin Grindeanu ha inviato una delegazione a Ragusa, per collaborare con le autorità locali.

«Il lavoro nero è una piaga a cui i migranti rumeni sono esposti, e il loro sfruttamento sessuale è una realtà, da combattere» ha dichiarata il Ministro della migrazione rumeno Andreea Pastarnac in un incontro con il prefetto di Ragusa, Maria Carmela Librizzi. La collaborazione è agli inizi: per tagliare i ponti dello sfruttamento trans-nazionale, serve un’azione su due fronti.

Ne è convinto anche don Sacco, che però si è dichiarato «scettico» sul futuro. «In passato abbiamo denunciato la cosa più volte, non è cambiato nulla». A chi di dovere, ora, il compito di smentirlo.

Davide Illarietti da Buonenotizie.corriere.it

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