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Il gender tra scienza e cultura
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Come si suol dire le parole hanno un peso. Il peso delle parole è talmente importante da riuscire a modificare la conoscenza, se non altro quella popolare, non scientifica. E’ ciò che sta succedendo con la parola gender, o genere in italiano. Un termine dal significato incerto e modellabile, una categoria artificiale del pensiero creata per studiare la dimensione culturale dell’identità, i ruoli e le relazioni di uomini e donne. Un termine che se da una parte ha permesso di porre sotto il riflettore delle scienze sociali l’influenza della norma sociale sulla vita privata e pubblica delle donne e delle minoranze sessuali, dall’altra rischia, una volta entrata nel linguaggio comune, di gettare nell’ombra la dimensione biologica dell’individuo. Dimensione che può essere soltanto maschile o femminile mentre dall’altra parte la cultura concorre a generare una molteplicità di possibili espressioni identitarie. E’ con l’intento di riportare nel dibattito sul gender il sapere scientifico e in particolare la conoscenza biologica che proponiamo questa intervista con Enzo Pennetta, biologo e saggista, autore del sito Critica Scientifica. Enzo Pennetta è firmatario della Commissione Scientifica per la Famiglia, nata lo scorso ottobre e formata da un gruppo apartitico di tecnici appartenenti a diverse aree disciplinari, dal diritto alla psicologia, dalla filosofia all’antropologia, dalla biologia e bioetica alla medicina.
Iniziamo con una domanda introduttiva. Cosa dice la biologia a proposito della caratterizzazione sessuale dell’essere umano?
Biologicamente parlando non ci sono dubbi: abbiamo due sessi determinati geneticamente. Poi ci sono comportamenti che riguardano la sfera psicologica, ma questi comportamenti non modificano il fatto che i sessi sono due. Fa ridere dover ribadire concetti elementari, ovvero che esistono due sessi, maschio e femmina. La cosa abbastanza curiosa è che in un’epoca che dà molta importanza alla genetica, un fatto geneticamente così chiaro venga forzato e tirato in mille direzioni.
Secondo lei questa conoscenza data dalla scienza biologica può essere confutata da un’altra scienza?In altre parole, può un’altra scienza confutare il fatto che esistono due caratterizzazioni sessuali?
Nessuna scienza è acquisita una volta per tutte. Dal punto di vista strettamente scientifico una revisione è normale. Ma questa revisione deve essere frutto di studi condotti con metodologia verificata e ritenuta valida, studi che non necessariamente devono appartenere alla stessa area disciplinare. Per esempio, possiamo pure ammettere l’eventualità che studi psicologici possano confutare studi biologici ma finora nessuno studio psicologico ha provato che la caratterizzazione sessuale dell’individuo non è prima di tutto biologica e genetica. Restando nel campo della biologia, è stato dimostrato che ci sono determinati geni che favorirebbero l’omosessualità maschile lasciando ampiamente all’ambiente far leva su questa predisposizione. Ma questo, ancora una volta, non nega che i sessi siano due, maschile e femminile.
Ne consegue che gli ermafroditi sono da considerarsi un’eccezione secondo la biologia?
Sì, siamo di fronte a una alterazione della norma biologica. Basare una teoria non sulla norma ma sulle eccezioni, come è stato fatto con la cosiddetta teoria gender, è un errore logico. Per citare un argomento più noto, pensiamo alla sindrome di Down, che è data da un’anomalia cromosomica. Oppure pensiamo alle anomalie alimentari quali la celiachia o il diabete. Nonostante la Scienza riponga l’attenzione verso le persone colpite da queste anomalie, verrebbe respinta come errore l’affermazione che la specie umana comprende migliaia di diversi casi, ovvero che queste anomalie possano essere considerate normalità (normalità trisomica, normalità celiaca, diabetica, ecc.). Al contrario, queste sono da considerarsi casistiche cliniche.
Seguendo questo ragionamento, il transgenderismo, che potremmo considerare un ermafroditismo autodeterminato, fa parte delle casistiche cliniche?
Biologicamente parlando il transgenderismo semplicemente non esiste. Siamo sempre in presenza di un individuo con la ventitreesima coppia di cromosomi XY o XX, essere transgender non altera questo fatto. Si tratta di una questione attinente alla psicologia.
Che significato ha la parola genere in biologia?
La biologia parla di sessi, non di genere. Di genere parlano i colleghi linguisti e i sociologi. Semmai il termine genere è usato anche nelle scienze biologiche come sinonimo di sesso. Tra l’altro, è interessante notare che il genere in latino è usato solo per le cose, non per le persone, in quanto il genere viene attribuito arbitrariamente, non perché l’oggetto sia maschio o femmina in sé. Ad esempio la scelta di identificare lo stesso oggetto con la parola sasso o pietra attribuisce all’oggetto stesso un genere rispettivamente maschile o femminile. Perciò, dire che le persone sono di questo o quel genere significa assimilare l’essere umano ad altre realtà che non hanno un sesso determinato.
L’amplificazione del fenomeno del transgenderismo nei media e l’affermarsi della cultura gender fluid, per la quale ogni essere umano ogni giorno può scegliere di vivere e autorappresentarsi secondo le caratteristiche sessuali del maschio e della femmina, potrebbe essere un fattore di involuzione della specie?
Non geneticamente. E’ però un fattore anti-darwiniano nel senso che una diminuzione percentuale della fertilità è un fattore di estinzione. Per questo sostengo che la cultura gender comporta inevitabilmente la pratica dell’utero in affitto, per bilanciare l’aumento delle relazioni sterili. Ecco perché i due discorsi vanno assieme. Non si può pensare di portare avanti un discorso culturale gender fluid senza allo stesso tempo promuovere strumenti compensativi quali la fecondazione artificiale e la maternità surrogata.
In conclusione, come può la scienza intervenire per arginare l’utilizzo scorretto del concetto di genere?
Innanzitutto va sottolineato che il termine genere è una parte di neolingua che serve a traghettare un concetto nuovo. E’ un’invenzione culturale che ha cominciato ad avere successo con il rapporto Kinsey sul comportamento sessuale negli anni Cinquanta. Un rapporto che è inutilizzabile a livello scientifico perché ottenuto con dati prodotti con interviste a un campione non significativo. Ciononostante i risultati del rapporto continuano a essere riproposti come dato scientifico. E’ sconvolgente che questo studio, nonostante la sua invalidità scientifica, sia stato divulgato così ampiamente e ancora oggi lo si citi. Ma il rapporto Kinsey non è l’unico esempio di divulgazione di scienza spazzatura. Pensiamo per esempio ad uno studio, riportato anche dal quotidiano La Repubblica, in cui si affermava che l’omogenitorialità non incide sulla vita del bambino. Andando ad analizzare i singoli studi citati si vede che il metodo non funziona. Ciononostante all’utente finale arriva il risultato. Ma quanti hanno il tempo e la preparazione per andare ad analizzare la metodologia? Per questo si rivela importantissimo l’impegno della Commissione Scientifica per la Famiglia di cui faccio parte, perché il vero contrasto delle affermazioni ascientifiche su cui si basa il discorso e la cultura del gender si deve fare analizzando le affermazioni e dimostrando dove sono fallaci, dal punto di vista metodologico. Se si fosse fatto trent’anni fa la strada per questi discorsi sarebbe stata molto più impervia. Anche se in ritardo, è importante rompere il silenzio.