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I marocchini dicono NO all’immondizia italiana
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Si scatenano le proteste in Marocco dopo l’attracco al porto di El Jadida ai primi di luglio di una nave carica di rifiuti. 2500 tonnellate secondo i media marocchini, un carico che sarebbe solo il preludio di altre spedizioni che, in base a un accordo siglato 3 anni fa, porteranno in Marocco 5 milioni di tonnellate di rifiuti italiani destinati allo smaltimento. Luogo di provenienza del carico? Non è stato ancora confermato se, come si teme, le balle di rifiuti arrivino dal deposito “Taverna del Re” situato tra le province di Caserta e Napoli, indicato da indiscrezioni giornalistiche confermate dalle notizie del progressivo svuotamento della discarica nella terra dei fuochi campana.
È proprio l’incenerimento dei rifiuti industriali, in particolare di materiale plastico e pneumatici, ad aver fatto capolino sui quotidiani marocchini infiammando la società civile. I temi ambientali sono da tempo ampiamente dibattuti nel Paese maghrebino che dal 7 al 18 novembre prossimi ospiterà a Marrakesh COP22, una nuova conferenza sul clima che mira a dare maggiore concretezza agli obiettivi e agli impegni assunti dagli Stati alla Conferenza di Parigi dello scorso dicembre. Non è solo la consapevolezza di ospitare una kermesse di così alto livello a mettere in allerta la coscienza ecologista dei marocchini. È dal primo luglio che in Marocco è entrata in vigore la legge che vieta l’importazione, l’esportazione, la produzione e l’uso di sacchetti di plastica monouso, norma adottata proprio per far fronte ai danni ambientali prodotti dai sacchetti di plastica, di cui il Paese è il secondo consumatore mondiale dopo la Cina. Comprensibile dunque che ora montino le proteste pubbliche, anche in nome di una certa coerenza dell’azione statale, laddove è stata imponente la campagna di informazione per la promozione degli obiettivi della legge e per la sensibilizzazione dei cittadini sui danni ambientali e sulla necessità di uno sviluppo sostenibile. Come è possibile allora, ci si chiede, sensibilizzare e imporre azioni di salvaguardia dell’ambiente dall’incontenibile invasione di rifiuti e buste di plastica, e al contempo importare rifiuti plastici dall’estero per bruciarli poi sul proprio territorio? È questa la ragione che ha indotto gli oltre 20mila firmatari ad oggi della petizione online lanciata dal Forum marocchino per i diritti umani a reclamare l’intervento del gabinetto reale per annullare l’accordo per incenerire i rifiuti industriali italiani in considerazione dei danni inestimabili all’ambiente e alla salute dei suoi cittadini.
Il timore di una trasformazione del Marocco in un “centro di raccolta della spazzatura internazionale” appare non lontana dalla realtà; dopo l’attracco della nave italiana alle coste marocchine, Rabat ha accordato il permesso di esportare più di 3300 tonnellate di rifiuti di gomma anche alla Francia. Una situazione che ha indotto l’Associazione nazionale per la lotta alla corruzione di Rabat a sporgere denuncia al tribunale amministrativo e penale della capitale contro la ministra dell’Ambiente, Hakima al Haiti, e l’amministrazione della dogana per la vicenda, entrambi accusati di minacciare la salute dei cittadini e di violare la normativa in materia. Anche il clima interno al Parlamento ha preso a surriscaldarsi attorno alla vicenda: lo scorso 5 luglio il Partito Liberale ha chiesto l’istituzione di una commissione d’inchiesta per chiarire il luogo di provenienza dei rifiuti e, in generale, i termini dell’accordo italo-marocchino; analoga istanza è stata presentata anche alla Commissione Ambiente della Camera dei rappresentanti. I toni della richiesta sembrano già guardare alla scadenza elettorale del 7 ottobre prossimo per il rinnovo del Parlamento e, in quest’ottica, appare del tutto sincera la considerazione del presidente del gruppo liberale in Parlamento, Wadi Ben Abdullah, che ammette di “voler fare chiarezza per il popolo, considerato che siamo in campagna elettorale vogliamo avere un rapporto di trasparenza con i nostri elettori. Non ci bastano le parole del governo: vogliamo sapere di più”. E proprio il governo di Rabat conferma invece la regolarità dell’operazione, chiarendo che non si tratta affatto di rifiuti pericolosi ma piuttosto di “refuse derived fuel” (RDF), ossia combustibile derivato dai rifiuti da utilizzare come alternativa alle energie fossili. Un’importazione quindi assolutamente legale, nient’affatto insalubre per l’ambiente e per i cittadini, e intesa come “un primo passo verso la collaborazione con gli altri centri di smaltimento europei: una sorta di test preliminare per sviluppare una filiera di produzione di RDF locali”. Tuttavia la vicenda si sta trasformando in un vero e proprio scandalo nazionale, con la ministra che continua a non fornire risposte convincenti e sembra essere stata lasciata sola dal suo partito e dal governo.
Mentre le ecoballe italiane restano parcheggiate nel porto di El Jadida in attesa dei “test di verifica” (a questo punto ritenuti necessari), le proteste sollevate in Marocco hanno nuovamente alzato in Italia i riflettori sulle modalità di smaltimento dei rifiuti del Paese. L’interrogazione parlamentare al ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti depositata lo scorso mercoledì dai deputati del PD Khalid Chaouki, Eleonora Cimbro, Chiara Braga e Floriana Casellato per ottenere un chiarimento sui fatti è un primo atto obbligato per far luce sulle molte ombre del caso e porre fine a un silenzio assordante da parte italiana. Se questo è l’obiettivo puntuale, di certo appare necessario anche chiarire pubblicamente la soluzione adottata dal governo per bonificare la terra dei fuochi e inoltre, nel lungo termine, adoperarsi per formulare un’ancora assente politica sostenibile dell’Italia nell’ambito dello smaltimento dei rifiuti.
Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.