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Fattori. Il pittore del risorgimento
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Dentro il medievale palazzo Zabarella di Padova v'è una mostra di quadri all'altezza dell'edificio che la ospita. Su Giovanni Fattori; il pittore del risorgimento. Il macchiaiolo, di origini livornesi, è stato devìato dal dipingere ritratti e figure, paesaggi e marine o animali a riposo. Durante le battaglie risorgimentali bisognava occuparsi d'Indipendenza, di battaglie; insomma di guerra e pace, per dirla con Tolstoj.
Il pittore, quindi, si avviò al fronte per dipingere le gloriose vittorie armato di tavolozza e pennello. A differenza dei “dipinto-reporter” suoi contemporanei (predecessori dei nostri fotoreporter) non immortalò la potenza sabauda; anche perché non la vide. Disegnò invece “soldati francesi alle cascine” inviati da Napoleone III° giacere stanchi a fianco delle proprie tende; in attesa. Altri avrebbero voluto che disegnasse lo sbarco a Livorno degli stessi militari accolti festosamente da folle plaudenti; ma ciò non accadde in quanto non vide né lo sbarco e né le folle. Fattori raffigurò il “vero” ed i macchiaioli, nel '59, furono tra i primi “veri veristi”. Peraltro i “soldati francesi alle cascine” furono immortalati sopra un quadro ove aveva iniziato a dipingere Maria Stuarda. Ciò per far capire il passaggio storico economico dell'artista. Le battaglie si vendevano di più dei ritratti. In “soldati del '59” è immortalata una pattuglia che non sa ove andare, che si guarda alle spalle. Un po' guardinga ma molto confusionaria. Priva di comando e direzione.
Molti critici avvicinarono l'artista toscano agli ideali di Mazzini e Garibaldi mentre altri a quelli filomonarchici di Cavour a partire proprio dal suo “Soldati francesi del '59”. S'intravvede, invece, alcun entusiasmo guerrafondaio. Un tamburo a terra che non batte alcun ritmo. Ed a coppie i soldati statici attendono ordini e si fanno compagnia.
Ed arrivarono le prime aspre critiche: Fattori si occupa solo dei francesi come liberatori e non del nostro regio esercito. E lui, l'anno seguente – 1860 – dipinge un “Accampamento di bersaglieri” che ebbe modo di visitare con soldati a terra ad oziare ed altri che scrutano l'orizzonte quasi a chiedersi “che ci stanno a fare”. Mentre il suo contemporaneo Friedrich Nietzsche teorizza il superuomo lui dipinse “accampamenti oziosi” sin tanto che la critica non lo “costringe” a dipingere “Garibaldi a Palermo”. E lui crea un “vero” falso! Fotografa morti da entrambe le parti (vero) e s'inventa una Palermo che non esiste (falso) allocando i violenti scontri tra il 27 ed il 28 maggio 1860 quando la popolazione insorse contro i borbonici invadendo le strade e innalzando le barricate. Altro che una popolazione sodale con i mille. L'esercito garibaldino si trova nel capolavoro dell'artista sotto il fuoco incrociato delle batterie napoletane e degli insorti. Giuseppe Garibaldi, Nino Bixio e Francesco Nullo stanno impassibili nelle retrovie. Distaccati. A vedere i propri prodi malridotti dal caos. Il “vero falso” nel quadro è dimostrato dal fatto che la porta cinquecentesca sullo sfondo non è Porta Termini ove ebbe luogo la battaglia ma Porta Nuova, nei pressi di Palazzo Reale, quasi ad informare i suoi stimatori che lui non fu presente e, quindi, di prendere con le pinze l'eroismo dei liberatori che peraltro non ha raffigurato.
Nel “campo italiano alla battaglia di Magenta” Fattori mette al centro le suore. Non più i generali inattivi come a Palermo ma le infermiere pre-crocerossine attive che soccorrono soldati di entrambi gli schieramenti. Anche questa raffigurazione “non corrisponde al vero” ma ad un “immaginario auspicato” in quanto Fattori in molte sue opere seguenti raffigurò terribilmente l'abbandono dei feriti al loro triste destino. Altro che soccorso monacale. L'opera gli permise comunque di vincere il concorso indetto da Bettino Ricasoli – il barone di ferro; l'aver messo al centro le suore anziché i generali l'han staccato di misura dagli altri contendenti.
Se prima disegnava cavalli ora, in continuità, disegna cavalli e cavalieri come raffigurato sia in “Pattuglia di cavalleria” che rappresenta uno sbraco militare e l'“Arresto di briganti” del 1864 che raffigura un diversivo: in assenza di nemici armati meglio prendersela con i civili disarmati.
Fattori, dopo gli anni delle battaglie o mancate battaglie, per quasi 10 anni si ritirò in campagna ed al mare. Stanco della guerra ritornò a la vita agreste. Staccò. Si riposò. Riprese nel 1873 con “militari e cavalli in una pianura” rappresentando animali stanchi, a differenza di quelli scattanti lontano dalle guerre, e militari appiedati. Con “posta militare al campo” torna al suo piatto forte che sono le retrovie ove il tamburo di battaglia diventa un tavolino ove poggiare la bottiglia di vino. Ma la fase cruenta, violenta, inedita avviene nel 1873 con “soldati abbandonati” che smentisce ogni soccorso. I giovani rimangono lì fermi; in putrefazione sotto il sole.
Il puzzo si sente anche nella sua opera più famosa “In vedetta” o “Piantoni. Il muro bianco”. Molti critici ci vedono una certa energia mentre noto solo stanchezza e routine. Insomma; ciò che non si racconta de la guerra.
Alla fine degli anni '70 Fattori riprende con un nuovo slancio la sua azione di denuncia dell'inutilità della violenza. Con “carica di cavalleria”, “lo staffato” e “lo scoppio del cassone” dimostra quanto si muoia di più per gli effetti collaterali, il fuoco amico, le disattenzioni che non per il fuoco nemico.
Nel 1890 il pittore è sempre più stanco e disegna in “accampamento di fanteria” i soldati stravaccati e non più seduti. Ma il pessimismo cosmico avviene con due opere: il dimenticato (Pro Patria morì) e “E ora?” Sono opere struggenti. Nella prima si dimostrano dei porci maremmani che mangiano le cervella del soldato abbandonato mentre nella sua ultima opera si vede un cavallo morto ed un vecchio, già militare (lo si riconosce dalle maniche rosse), che perde ogni speranza. Abbandonato da ogni comunità che non aveva frequentato e dallo Stato nascente per il quale aveva combattuto invano. L'artista nonviolento è disincantato; come la maggior parte di noi. Nonostante ciò, ahi lui, fu definito da Ojetti “l'interprete dell'orgoglio patriottico nazionale” e da Anna Franchi “un innamorato delle battaglie”. Il “vero falso” nacque con lo stato Italiano.
Fabio Pipinato

Sono un fisioterapista laureato in scienze politiche. Ho cooperato in Rwanda e Kenya. Sono stato parte della segreteria organizzativa dell'Unip di Rovereto. Come primo direttore di Unimondo ho seguito la comunicazione della campagna Sdebitarsi e coniato il marchio “World Social Forum”. Già presidente di Mandacarù, di Ipsia del trentino (Istituto Pace Sviluppo Innovazione Acli) e CTA Trentino (Centro Turistico Acli) sono l'attuale presidente di AcliViaggi. Curo relazioni e piante.