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Emergenza Ucraina e solidarietà a colori
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Foto: Unsplash.com
Il francese Le Monde https://bit.ly/3CdeIeE si è chiesto se si tratti di una solidarietà a “geometrie variabili”. Noi potremmo andare oltre e chiederci se non si tratti di una politica dell’accoglienza “a colori”: i colori della pelle di chi fugge – diverse cronache parlano di discriminazioni subite da africani e asiatici alla frontiera tra Ucraina e Polonia – o quelli dei Paesi dove sono in corso da tempo altre, gravissime crisi umanitarie. Di fronte all’ondata di profughi in fuga dalla guerra in Ucraina, per esempio, cosa succederà a chi cerca ancora rifugio dall’Afghanistan dei talebani? Forse che la guerra di Putin all’Ucraina, benché legittimamente percepito come un attacco al cuore dell’Europa, può far dimenticare le responsabilità di tutto l’Occidente per le illusioni in un futuro democratico dell’Afghanistan, lasciate germogliare per vent’anni in quel Paese fino alla caduta di Kabul nelle mani dei talebani il 15 agosto scorso?
Nei giorni successivi a quella data si accalcavano intorno all’aeroporto della capitale migliaia di afgani che avevano collaborato con le organizzazioni occidentali o con il governo di Ashraf Ghani, lui appena fuggito all’estero. Ma molti di loro, comprese centinaia di giornalisti e attivisti per i diritti umani, non sono riusciti a fuggire con i ponti aerei e ancora attendono di farlo nascondendosi in patria, o vivendo in un limbo in Iran e Pakistan dove si sono temporaneamente rifugiati. Forse che loro non hanno diritto a qualche forma di protezione internazionale? E’ giusto che la nuova crisi in Europa li respinga indietro?
Certo, i numeri della crisi ucraina fanno davvero paura. Secondo l’Unhcr https://bit.ly/3pEEwvi, dal 24 febbraio al 3 marzo sono scappati dal Paese oltre 1,2 milioni di profughi: il 53% (circa 650 mila persone) sono andati in Polonia, 144 mila in Ungheria, 110 mila in altri Paesi europei, 103 mila in Moldavia, 90 mila in Slovacchia, 58 mila in Romania, 53 mila in Russia (oltre ai 100 mila già scappati dalle due regioni contese di Donetsk e Luhansk). Ci auguriamo che la loro fuga sia breve e che presto possano tornare a casa. In molti possono inoltre per fortuna contare, in Europa, sull’ospitalità e la vicinanza di connazionali, amici e parenti.
Per i profughi afgani le circostanze, ma anche i numeri, sono molto diversi. Stiamo parlando non di afgani che fuggono dalla pur terribile crisi umanitaria che continua nel Paese – causa anche il blocco dei fondi del loro Stato nelle banche degli Usa e dell’Europa – ma di persone che per la loro professione e attività rischiano il carcere, le violenze e anche la morte dopo il ritorno dei talebani. L’Italia, che in agosto ha portavo in salvo oltre 5 mila afghani, ha promesso di dare protezione ad altri 1.200 nell’arco di due anni, tramite i “corridoi umanitari” varati dal governo il 4 novembre, ma che sono ancora fermi al palo. Il motivo? Il Ministero dell’Interno non può pagare il costo dei biglietti aerei di chi è pronto a partire da Paesi terzi come Iran e Pakistan, come previsto dal Protocollo https://bit.ly/3hGGnex firmato con varie organizzazioni della società civile: organizzazioni che già hanno predisposto, con le risorse del volontariato, i percorsi di accoglienza e inserimento nella società italiana. E ha chiesto a loro di farlo...