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Ecuador: la resistenza delle donne
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Il governo di Rafael Correa (al potere per due mandati consecutivi, dal 2007 al 2017) aveva dato in concessione il giacimento minerario Rio Blanco alla compagnia cinese Ecuagoldmining, considerandolo uno dei cinque progetti strategici per il paese. Si tratta di un giacimento di 605.000 once d’oro e 4,3 milioni di once d’argento, con una produzione stimata di 240 mila tonnellate di minerali all’anno. La vita utile della miniera, ubicata nella provincia de Azuay, nella parte andina meridionale dell’Ecuador, era stata stimata in 11 anni e le operazioni di estrazione erano iniziate nel 2016, dopo l’atto di inaugurazione presieduto dall’allora vicepresidente Jorge Glas, che si trova al momento attuale in carcere per delitti legati alla corruzione.
A partire dal 2017 la comunità ha cominciato a mobilitarsi nel tentativo di bloccare il progetto, che sorge nel Parco Nazionale Cajas, un ecosistema ricco di sorgenti dove sono presenti più di 200 laghi, oltre a una grande ricchezza in termini di flora e fauna. L’impresa é stata accusata di creare conflitti e divisioni all’interno delle comunità, di aver tentato di corromperne i leader e di utilizzare guardie di sicurezza private particolarmente inclini alla violenza ingiustificata. Nel maggio del 2018, in seguito a varie consultazioni avvenute nelle comunità circostanti la zona dove sorgeva la miniera, viene appiccato il fuoco ad alcune istallazioni e macchinari appartenenti all’impresa. Una delegazione delle comunità istituisce un posto di blocco e concede il passaggio solamente ai comuneros, bloccando l’accesso al personale dell’impresa mineraria. In seguito a tale azione 8 persone vengono arrestate e si iniziano procedure di investigazione per sabotaggio e terrorismo. Allo stesso tempo, però, Il sistema di giustizia ecuadoriano riceve una denuncia da parte delle comunità e blocca l’avanzamento dei lavori. Un giudice di Cuenca concede un’azione di protezione costituzionale a causa della violazione del diritto fondamentale (difeso dalla Costituzione ecuadoriana) della comunità alla consultazione previa, libera e informata. All’impresa viene imposto di lasciare la zona, assieme all’esercito che era stato mobilitato a protezione delle istallazioni. Si tratta di una sentenza storica, che può creare un precedente importantissimo nelle vertenze di altre comunità in lotta nel paese a difesa del proprio territorio.
E’ particolarmente bello ed emozionante leggere le parole delle comuneras, le donne delle comunità, riportate in questo articolo dell’uruguayano Raúl Zibechi. Sono infatti le donne le più attive nella lotta contro la miniera: da Laureana, levatrice di 74 anni che ha assistito più di 200 partorienti, alle giovani di 20 anni, come Yoana che ha sulla schiena la sua bambina che, pure così piccola, pare voglia partecipare al dibattito. Una di loro dice che non si fidano più degli uomini, e racconta quanto accaduto nelle comunità di Kimsacocha, altra grande zona in resistenza della provincia. Qui le comunità organizzarono un referendum per contrastare un altro progetto minerario, e se tra gli uomini i contrari raggiungevano a stento il 60%, tra le donne l’opposizione era di gran lunga superiore all’80%. “Gli uomini sognano il lavoro, le donne sognano di preservare la vita”, scrive Zibechi. Uno degli uomini più anziani della comunità riconosce che “noi andiamo dietro a loro, e basta”. Loro sono le “Pachamamas”, cosí si chiamano le partecipanti al Fronte delle Donne in Difesa della Pachamama (la madre terra, nella cosmovisione andina ed in generale indigena latinoamericana), organizzazione creata da ormai più di dieci anni. Le più attive sono proprio le comadronas, ossia le levatrici tradizionali, poiché uniscono l’autorità simbolica alla conoscenza di saperi ancestrali. Raccontano poi che fra non molto aprirà i battenti la “Scuola Autonoma di Río Blanco”, con insegnanti che presteranno la loro opera a titolo volontario, dato che si ritiene che le imprese utilizzino anche le scuole per fare passare un certo addottrinamento in materia mineraria. Il cammino da percorrere é quello dell’autonomia, raccontano, seguendo l’esempio del Chiapas. E probabilmente, davanti alle aggressioni estrattiviste, questa pare davvero l’unica strada percorribile.
Michela Giovannini

Dottoressa di ricerca in sviluppo locale, è appassionata di America Latina, popoli indigeni, autogestione, lotte e resistenze politiche e sociali. Ha trascorso periodi di studio e ricerca sul campo in vari paesi. Messico e Cile sono i principali contesti in cui si sono svolte le sue ricerche, dedicate principalmente a varie tipologie di organizzazioni dell'economia sociale e solidale.