Easac: sostituire le centrali a carbone con grandi impianti a biomasse non è una buona idea per il clima

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Foto: Easac.eu

Rispondendo alla Consultazione della Commissione europea sulle biomasse, l’European Academies’ Science Advisory Council (Easac) fa notare che «diversi Paesi europei considerati leader nella protezione del clima devono alla biomassa le loro apparentemente buone riduzioni delle emissioni».  Ma l’Easac argomenta nel suo commento che, se la contabilizzazione del carbonio nell’ambito dell’Emissions Trading System dell’Unione europea (EU ETS) dovesse essere basata sulla scienza e sui reali effetti sul clima, queste performance in futuro potrebbero rivelarsi qualcosa di molto diverso.

Mentre la Commissione europea sta lavorando a una revisione del suo principale strumento di politica climatica, l’Easac suggerisce uno standard radicalmente nuovo. Secondo Michael Norton, direttore del programma ambientale dell’Easac, «etichettare la biomassa forestale come rinnovabile ha un impatto perverso sul clima. Gran parte della biomassa impiegata in Europa è tutt’altro che carbon neutral. Le attuali norme contabili nell’ambito del sistema di scambio delle quote di emissione consentono a determinate centrali elettriche e Paesi di apparire come pionieri del clima, sebbene in realtà danneggino il clima». 

L’Easac non ce l’ha con tutte le biomasse ma con la sostituzione delle centrali a carbone con quelle a biomasse, sottolineando che questo scambio «quando si tiene adeguatamente conto dell’intero ciclo di vita, spesso non riduce ma aumenta le emissioni nette nell’atmosfera». Norton spiega che «l’impatto negativo sul clima può persistere per molti decenni e quindi aumentare il rischio di superare gli obiettivi dell’accordo di Parigi. Le odierne regole di contabilizzazione del carbonio secondo l’ETS, che consentono di ignorare le emissioni di biomasse, danno alla biomassa forestale un passaggio gratuito, nonostante i suoi enormi effetti sul clima. Da un punto di vista scientifico, non correggere questo errore è ipocrisia climatica».

Più nel dettaglio, nelle sue osservazioni l’Easac evidenzia che, per quanto riguarda le emissioni, «esiste un intervallo di tempo significativo prima che qualsiasi presunta ricrescita della biomassa dopo la raccolta possa compensare questo aumento iniziale. Questo periodo può variare da un decennio al massimo (ad esempio con residui forestali autentici o rifiuti agricoli, o alcuni biocolture in rapida crescita) a secoli». Insomma, ci sono biomasse e biomasse e vanno preferite quelle prodotte nell’immediata vicinanza dell’impianto energetico e da scarti agricoli o residui forestali.

Per questo gli scienziati invitano i legislatori europei a introdurre «un nuovo requisito in base al quale le emissioni nette di carbonio dalle centrali elettriche a biomasse siano adeguatamente contabilizzate e dichiarate nell’ambito del sistema di scambio di quote di emissioni. Non dovrebbe essere possibile presumere che milioni di tonnellate di carbonio che escono da un camino di una centrale elettrica siano “zero”. L’ETS dovrebbe essere riformato per collegare la contabilità agli effetti reali sui livelli di CO2 nell’atmosfera. Questo richiederà il calcolo del “carbon payback period ” per ogni impianto a biomassa e per la sua catena di approvvigionamento. Le autorità di regolamentazione devono sapere quanto tempo ci vorrà prima che siano superati gli effetti perversi iniziali della biomassa sul clima e si raggiungano le riduzioni nette delle concentrazioni atmosferiche di CO2».

Norton spiega ancora: «Poiché le stime recenti indicano che gli 1,5° C possono essere superati in 10 – 20 anni, un periodo di ammortamento accettabile non dovrebbe essere più lungo di 5-10 anni». Questo garantirebbe che gli impianti più dannosi debbano dichiarare le proprie emissioni allo stesso modo di quelli che utilizzano combustibili fossili.

Norton conclude: «Mi aspetto che questo abbia un impatto sul modo in cui guardiamo a Paesi come Danimarca, Estonia, Finlandia, Svezia, Paesi Bassi, Regno Unito e altri che utilizzano molta biomassa. Questo  pone sfide a quei Paesi per raggiungere i loro obiettivi di energia rinnovabile con una biomassa meno dannosa per il clima. Ma otterrebbero molto di più nell’affrontare il cambiamento climatico se gli enormi sussidi attualmente concessi alla biomassa potessero essere dirottati verso tecnologie che aiutino davvero il clima».

Da: Greenreport.it

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