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Donne afgane tra diseguaglianze, abusi e prigionia
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Kandahar, Afganistan
Musliba si china in avanti, tenendo la bianca sciarpa in modo che solo i suoi occhi scuri siano visibili, e fa un gesto con le mani aperte. Vuole spiegare alla visitatrice straniera perché è in prigione da due mesi, ma ha 12 anni, e non lo ha capito neppure lei.
Il direttore della prigione, Haji Niamat, la spinge indietro, impaziente e ossequioso al tempo stesso: "Glielo dico io, il perché. Immoralità, ovviamente. Ha sfidato suo padre, rifiutando di sposare l'uomo che aveva scelto per lei. E poi, aveva una relazione con un diciottenne proprietario di un negozio."
Musliba arrossisce, e finisce per coprirsi anche gli occhi. Per parlare, aspetta che il direttore non sia a portata d'orecchio. "Mio padre mi ha data via una sera, mentre era al ristorante con gli amici." sussurra, sedendo a gambe incrociate sul marciapiede di cemento fuori dalla stanza che è la sua cella. Arriccia il naso in un moto di disgusto. "L'uomo che vuole sposarmi è vecchio, ha l'età di mio padre." E il tipo del negozio? Musliba sorride: "E' gentile. Ha un lavoro. E' tutto qui."
E' tutto qui, ma è abbastanza per incarcerare una ragazzina, in questa città polverosa e conservatrice, fondata da Alessandro il Grande nel 300 a.C. e, fino a tre anni fa, roccaforte dei Talebani. Musliba aspetta il processo in prigione, da due mesi.
Il Giudice supremo del tribunale di Kandahar, Abdul Basir Mahbooky, mi spiega che la "sharia", o legge islamica, è fatta per proteggere le ragazze come Musliba. "Le nostre leggi hanno come priorità l'unità della famiglia, mi dice giocherellando con la sua lunga barba grigia, E questo è importante proprio per le donne perché, mi dispiace dirlo, le donne non hanno la capacità fisica o mentale di vivere da sole in questa società. Noi dobbiamo assicurarci che ci si prenda cura di loro." Mahbooky, che ha circa 60 anni, è giudice da quaranta, ed è stato istruito dapprima in una scuola religiosa, e poi ha ottenuto un diploma in legge islamica. Mi dice che mettere in prigione Musliba le ha salvato la vita, perché spesso i familiari uccidono le ragazze che osano sfidare il proprio padre o che sono sospettate di relazioni illecite.
La madre di Musliba fu uccisa a colpi d'arma da fuoco otto anni orsono, durante il governo Talebano, mentre rientrava a casa a tarda sera. Musliba non è chiara, rispetto alle circostanze dell'omicidio, sa unicamente che questo fatto l'ha lasciata sola con il padre. Poi, quando aveva sette anni, il padre l'ha promessa ad un amico. Questa storia non è insolita, in tutto il paese: quello che è insolito è che Musliba è stata abbastanza coraggiosa da dire al padre che non avrebbe sposato quell'uomo. Il direttore della prigione mi predice che quando il giudice tratterà il caso di Musliba, le ordinerà di sposarsi immediatamente secondo la scelta del padre, o se l'amico di costui non la vuole più, giacché ora "è in disgrazia", le ordinerà di sposare il proprietario del negozio. "Non si preoccupi., mi dice, Avremo cura di lei."
Nella prigione di Kabul incontro invece Sima Alamiar, di 38 anni. Per 19 anni suo marito l'ha picchiata a sangue, una volta rompendole il naso, un'altra aggredendola con un pezzo di vetro che le ha lasciato una profonda cicatrice sulla fronte. Una sera, dopo che era stata picchiata davanti a parenti, Sima è fuggita. La sua fuga è durata pochi giorni: è stata imprigionata, con l'accusa di "fuga da casa". Ora, due mesi di galera più tardi, ha deciso di tornarvi.
Quando le chiedo cosa farà se il marito la picchierà ancora, Sima scrolla le spalle. Anni di battiture le hanno dato una durezza che è visibile sul suo volto. "Prego Allah che non lo faccia., mi risponde, Ma devo rischiare. L'alternativa è passare 5 anni qua dentro." Quando le parlo dei rifugi per donne maltrattate mi ascolta con gli occhi spalancati, incredula.
Sebbene la legge islamica permetta ad un uomo di divorziare dalla moglie semplicemente dicendo tre volte, davanti a testimoni, "Divorzio da te", i requisiti richiesti ad una donna sono un po' più rigorosi. "Deve dimostrare alla Corte che lui non è in grado di provvederle rifugio, cibo, vestiario e contatti sessuali.", mi spiega Jawad Nikzaid, studente in Legge all'Università di Kabul. "Se non è in grado di fare questo, allora può offrire del denaro al marito, e forse costui acconsentirà a divorziare." Nikzaid è un segno di speranza: un membro delle giovani generazioni che ritiene le vigenti leggi ingiuste verso le donne. Sicuramente ha un muro di tradizioni da combattere, tradizioni che molto spesso anche donne sostengono, ad esempio donne come Rana Samad Said, direttrice della prigione in cui Sima è detenuta. Said è laureata in Criminologia all'Università di Kabul: "E così è stata picchiata?, commenta, L'uomo deve lavorare lunghe ore fuori di casa per provvedere alla propria famiglia. Quando torna a casa, sua moglie deve tenere un buon comportamento, e rispettarlo. Se non lo fa, accadono di questi problemi."
Sima divide la cella, una larga stanza, con altre nove donne detenute e due bambini. Tappeti consunti coprono il pavimento, e coperte sono ammucchiate in un'alta pila in un angolo. Le donne ricevono un pezzo di pane a colazione, riso a pranzo e patate a cena, un giorno dopo l'altro senza eccezioni. Hanno il permesso di passeggiare nel cosiddetto "cortile", un quadrato di sporcizia incancrenita con in mezzo un tubo di gomma per l'acqua, che rende la maggior parte del terreno fangoso. Non hanno elettricità, non sono permessi i libri. Ma la prigione permette loro di cucire, e di imparare l'alfabeto o il Corano.
Noria, una delle compagne di prigionia di Sima, ha 25 anni. E' vedova grazie ai bombardamenti statunitensi. Suo suocero le ha ordinato di sposare il fratello di suo marito, e poiché ha rifiutato ora è in carcere. "Amavo molto mio marito. Non voglio sposare suo fratello. Ho quattro bambini, il più grande ha solo 7 anni. E durante tutto questo tempo io non so se stanno mangiando o no, se li tengono puliti o no, e come stanno vivendo."
Hosnia, che di anni ne ha 18, mi dice di essere stata imprigionata per amore. Lei e un vicino di casa si innamorarono, e il ragazzo chiese al padre di lei il permesso di sposarla. Il padre rifiutò per via della differenza etnica: Hosnia è Hazari, il suo innamorato è Tajik. Dopo qualche mese, il ragazzo chiese di nuovo il permesso di sposare Hosnia, e poi di nuovo ancora. Poiché il padre continuava a rifiutare, la coppia decise di fuggire. Sono stati catturati prima che potessero sposarsi. "Se il governo non ci permetterà di sposarci fuggiremo in Iran, o in Pakistan.", afferma Hosnia. Il suo voto strappa rari sorrisi alle sue compagne, che dicono di piangere molto più di quanto sorridano.
"Non riusciamo a dormire, qui., dice Noria, Pensiamo e singhiozziamo per tutta la notte. Io so di non aver commesso alcun crimine. Non dovrei essere qui. Voglio uccidermi."
La minaccia può suonare melodrammatica, ma non è uno scherzo. Una delle donne in questa cella ha tentato di darsi fuoco due volte in 24 ore. La storia della sua carcerazione è lunga e complicata, comprende un marito in una galera pakistana e confuse accuse di omicidio. Mi snocciola i dettagli meccanicamente, i suoi occhi sembrano di vetro. Sono le sue compagne a dirmi che ha tentato di uccidersi. "Non posso restare qui, e non vedo modo per uscire., mi dice, con la determinazione dipinta su un volto gelido, Ho già preso la mia decisione."
Per maggiori informazioni:
Women for Afghan Women: http://www.womenforafghanwomen.org/
HelpAfghanWomen.com: http://www.helpafghanwomen.com/