Disabilitypride, pro e contro

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Chi potrebbe schierarsi contro i disabili? Chi potrebbe criticarli? E chi sottovalutare le loro legittime istanze? Persino la Lega “cattivista” utilizza con loro il politicamente corretto. Anzi, inaugura il ministero delle disabilità, per altro quasi non pervenuto in queste prime settimane di governo, ma comunque ampiamente criticato da molte parti. Intanto si moltiplicano in tutta Italia i Disabilitypride (sulla scia di quello romano celebrato il 15 luglio scorso), manifestazioni che, già dal titolo, procedono lungo il cammino delle lotte per i diritti delle minoranze sessuali. Poi ricordiamoci che pure in Italia molti omossessuali sono vittime di soprusi, di dileggio anche da parte dei politici, e infine di un vero e proprio disprezzo che tracima spesso nell’odio. Per fortuna per i disabili non è (più, ancora?) così. Essi, almeno a parole, sono riconosciuti e talvolta omaggiati. Gli episodi di discriminazione – che pure non vanno assolutamente trascurati – sono unanimemente condannati dall’opinione pubblica.

Forse per questo le iniziative che riguardano i disabili piacciono anche a destra. Piacciono a tutti e quindi, purtroppo, finiscono nel dimenticatoio. Sono applaudite, ma incidono poco. Vediamo di capire il perché.

Allora cosa c’è di male nel rivendicare i propri diritti? Una domanda tuttavia sorge spontanea: esiste davvero la categoria dei disabili? È giusto metterli tutti nel medesimo calderone, senza alcuna distinzione? Eppure le differenze ci sono, eccome. Se si confonde tutto, non si raggiunge nessun obiettivo. Non è una questione di “classifiche”, ma di realismo e concretezza. Chi ha bisogno di assistenza 24 ore al giorno può essere paragonato a un dislessico? Chi vive in una città del nord può essere avvicinato a un residente al sud dove spesso mancano i servizi base per una vita semplicemente dignitosa? Chi ha qualche risorsa finanziaria può essere trattato come chi sopravvive con la pensione minima? Gli esempi si potrebbero moltiplicare. Ma quando si legge che un cittadino su sei è disabile, ecco qualcosa non torna. Al di là delle vere e proprie truffe penalmente rilevanti orchestrate da falsi invalidi, sembra che nell’Italia dei populisti tutto sia possibile e che qualche soldo si possa sempre lucrare a spese dello Stato.

La propaganda – opportunamente cavalcata dall’attuale governo – dice che “basterebbe poco” per garantire ai disabili gravi il diritto ad una completa e dignitosa assistenza. E che quindi logicamente è stata colpa dei governi precedenti, corrotti o incapaci, se la situazione presenta questi disequilibri e carenze. Nei fatti non è così, almeno non è sempre così. Le spese per una reale “vita indipendente” per i disabili (cioè vivere a casa propria grazie all’aiuto di collaboratori) sono ingenti. Spesso la situazione sanitaria diventa insostenibile. Non è solo una questione di buona – o cattiva – volontà dei politici. È un’illusione credere e far credere  che basti una mobilitazione per vedere esaudite le proprie rivendicazioni. Esiste un livello minimo di assistenza sancito dal diritto alla salute e lo Stato deve fare ancora molto in questa direzione, ma se dovesse venire incontro a qualsivoglia bisogno, non potrebbe alla lunga reggersi in piedi.

Sia detto poi per inciso: l’assistenza ad anziani e disabili è sulle spalle delle famiglie che a loro volta si avvalgono di aiuti di collaboratori stranieri, di badanti che spesso sono irregolari oppure vengono pagati in nero. Per esperienza diretta, suffragata per altro da qualsiasi dato complessivo, molti, moltissimi, direi quasi tutti gli italiani non vogliono fare questo tipo di lavoro. Legittimamente, per carità. Ma se non ci fossero gli stranieri i disabili – e le loro famiglie – sarebbero alla disperazione.

Questa realtà non viene messa in luce a sufficienza. Invece è bello, semplice e remunerativo, anche in termini di voti, fare ai disabili innumerevoli promesse, impossibili da realizzare. Ma è l’approccio di fondo sbagliato. Con i disabili si può essere buonisti come dice il capo leghista, perché, poverini, non fanno male a nessuno, bisogna avere compassione per loro. Guai però a considerarli in maniera simili ai “normali”: sono invece animali da zoo, da baraccone, da mostrare in pubblico per far capire quanto si è attenti ai diversi da noi….

Occorre stare attenti nel non cadere in una mera rivendicazione di tipo sindacale, benché oggi spesso si parli anche di “pari opportunità”. Perché la disabilità è una condizione, non può essere una professione. Bisogna superare una logica rivendicativa e domandarsi anche che cosa possono dare i disabili alla comunità e non solo quello che devono avere. E questo cambio di mentalità non si fa solamente con un corteo.

Piergiorgio Cattani

Nato a Trento il 24 maggio 1976. Laureato in Lettere Moderne (1999) e poi in Filosofia e linguaggi della modernità (2005) presso l’Università degli studi di Trento, lavora come giornalista e libero professionista. Scrive su quotidiani e riviste locali e nazionali. Ha iniziato a collaborare con Fondazione Fontana Onlus nel 2010. Dal 2013 al 2020 è stato il direttore del portale Unimondo, un progetto editoriale di Fondazione Fontana. Attivo nel mondo del volontariato, della politica e della cultura è stato presidente di "Futura" e dell’ “Associazione Oscar Romero”. Ha scritto numerosi saggi su tematiche filosofiche, religiose, etiche e politiche ed è autore di libri inerenti ai suoi molti campi di interesse. Ci ha lasciati l'8 novembre 2020.

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