Diamanti: i gioiellieri ne oscurano la provenienza

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Amnesty International e Global Witness hanno presentato oggi un Rapporto che illustra i risultati di un'indagine condotta nel settore della gioielleria, sia tra i distributori che i venditori al dettaglio, sull'impegno all'autoregolamentazione per sostenere il Processo Kimberley - lo schema internazionale di certificazione creato per combattere il commercio dei diamanti provenienti da zone di conflitto.

I risultati dell'indagine indicano che l'industria dei diamanti non è riuscita a tener fede all'impegno, preso nel gennaio 2003 dai propri rappresentanti, di fornire garanzie scritte sulla provenienza delle pietre ed attuare un codice di comportamento per sostenere lo schema di certificazione Kimberley. L'indagine presso le principali aziende e i gioiellieri negli USA e nel Regno Unito ha evidenziato che fra le aziende che hanno risposto, meno di una su quattro ha applicato una politica chiara sui "diamanti dei conflitti" e meno della metà dei gioiellieri interpellati hanno potuto offrire al consumatore un'assicurazione efficace che i diamanti venduti non provenissero da zone di conflitto.

I dati presentati oggi fanno parte di un'indagine ampia condotta fra più di 800 rivenditori e fornitori contattati in Australia, Belgio, Francia, Germania, Paesi Bassi, Svizzera e Italia. Finora soltanto in 52 hanno risposto con informazioni sulla loro politica. In Italia, su 152 imprese e associazioni di categoria contattate, solo 5 hanno risposto dichiarando di essere costrette a fidarsi di quanto affermato dai propri grossisti e invocando un maggiore controllo da parte dello Stato italiano al momento dell'importazione.

"I risultati dell'indagine sono molto deludenti e indicano che, sebbene cresca la consapevolezza del legame fra diamanti illegali e conflitti sanguinosi, una maggioranza significativa dei rivenditori di gioielli continua a non essere in grado di fornire garanzie sulla provenienza delle pietre" - ha dichiarato Giuseppe Piras, responsabile per i diritti economici, sociali e culturali della Sezione Italiana di Amnesty International. Amnesty International e Global Witness nutrono seri dubbi circa l'efficacia del World Diamond Council nel realizzare questi obiettivi; occorre adottare misure urgenti per accertare che questo organismo intensifichi il coordinamento e il controllo delle azioni dell'industria per combattere i "diamanti dei conflitti". È ormai chiaro che, per essere veramente efficace nel sostegno degli obiettivi del Processo Kimberley, la regolazione deve muoversi oltre la sfera volontaria.

Le due associazioni stanno inoltre invitando i governi aderenti al Processo Kimberley ad accertarsi che l'industria dei diamanti attui il codice di comportamento, come richiesto dal Processo stesso. "Abbiamo forti dubbi sul fatto che il Governo italiano si sia attivato affinché ciò avvenga" - ha aggiunto Piras. Secondo le due organizzazioni, solo lo sforzo congiunto degli stati e di tutti i settori dell'industria e del commercio dei diamanti potrà garantire al cliente di stare acquistando un gioiello che non sia stato causa di tremende sofferenze e gravi violazioni dei diritti umani.

Va ricordato che lo scorso luglio la Commissione del Kimberley Process ha estromesso il Congo-Brazzaville dall'elenco dei Paesi esportatori di diamanti garantiti come "non provenienti da zone di guerra". Il Congo-Brazzaville riportava di aver prodotto lo scorso anno 5 milioni di carati di diamanti e di non aver avuto alcuna importazione, ma la Commissione non aveva rinvenuto alcun sito che dimostrasse che i diamanti venivano realmente estratti nel paese centrafricano che sta esportando diamanti "ad un tasso 100 volte superiore alle stime di produzione". E va segnalato che il 40% dei diamanti che escono dalla Sierra Leone passa tuttora per le vie del traffico illecito. [GB]

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