www.unimondo.org/Notizie/Di-parole-diritti-e-amori-158395
Di parole, diritti e amori
Notizie
Stampa
Ci sono parole che, quando le metti insieme, sembrano avere tra loro un nulla da spartire, per lo meno secondo quel pregiudiziale “comun pensare” che delimita entro zone di confort le nostre abitudini dialettiche, mediatiche e mentali.
Ci sono parole che, quando le metti insieme e provi a cucire tra loro un filo che le intrecci, sai che invece faranno camminare te su un filo, teso tra la provocazione e i moralismi.
Ci sono parole, come ad esempio musulmano, gay e matrimonio che, se le metti insieme, sai che solleveranno polemiche, che difficilmente troveranno un trait d’union, che sarà faticoso farle rientrare in una stessa frase che non si caratterizzi per la sua natura violenta, giudicante, assimilante, denigrante, nella migliore delle ipotesi problematica. Sono quelle stesse parole che, se declinate al femminile, aumentano esponenzialmente il livello percepito di insubordinazione sociale.
Ci sono però Paesi dove queste parole abitano volentieri, anzi coabitano, nello sforzo costante, perseguito e protetto, verso una sintonia necessaria e una necessaria ricomposizione delle regole di civiltà e dei vissuti di cittadinanza. Ci sono Paesi, come per esempio la Svezia, dove parole come queste trovano uno spazio di incontro, dialogo, diritto.
E i Paesi, si sa, sono banalmente - e allo stesso tempo poliedricamente - costituiti da persone. Persone come Ludovic Mohamed Zahed, Myriam Iranfar e Sahr Mosleh. Un uomo e due donne accomunati dal desiderio di incarnare la perfezione regolare dei dogmi nella perfezione irregolare della vita.
Lui è un imam di origine algerina, omosessuale. Persona giovane e formata, è direttore del gabinetto consultivo di CALEM, Confederazione di associazioni LGBTQI Euro Africane o musulmane (tra cui anche il MOI italiano) con base in Francia, che ha lo scopo di promuovere processi di empowerment basati su 3 punti chiave: conoscenza (accademica e di casi studio, attraverso dinamiche partecipative), collaborazione (all’insegna di competenze in condivisione) e consapevolezza delle questioni contemporanee, inscindibilmente connesse alla coesione sociale e a una dimensione secolare della vita pubblica. Ludovic è quell’imam che, nel 2012, ha sostenuto la realizzazione a Parigi della prima moschea aperta anche agli omosessuali. Perché le religioni - e, si badi bene, tutte le religioni, non solo quella che casualmente ospita la storia di cui parliamo - nascono e si radicano nell’intento di accompagnare le persone nella loro ricerca di senso, ma spesso quel senso lo danno per scontato, per dato, per obbligato. Perdono di vista la complessità del vissuto, si lanciano in proclami e accuse, impongono regole di sacrificio e (ab)negazione, dimenticando che accogliere le diversità (e non, come a torto credono in molti, le perversioni) è il modo più bello per accogliere le paure che abbiamo dentro, e conoscerle. E’ il modo più sicuro per non soccombere al loro potere di indurci all’esclusione e alla violenza.
Myriam e Sahr sono due donne iraniane: che una di loro sia affetta da una grave malattia ossea che la costringe in sedia a rotelle e che l’altra le abbia dato un figlio sono dettagli. Ciò che invece non è un dettaglio è che dall’Iran sono dovute fuggire. Come molti altri, ognuno e ognuna con le proprie ragioni. Le ragioni di Myriam e Sahr sono quelle del cuore, e della libertà.
Cosa accomuna Ludovic, Myriam e Sahr? Il coraggio di un matrimonio che l’imam ha celebrato due anni fa. Dunque la storia non è nuova. Ma è in giorni nuovi come questi, di battaglie per i diritti civili, di migrazioni forzate, di fanatismi e di intolleranze di ogni colore e bandiera che dobbiamo ricordarcene. Dobbiamo farlo perché spesso sono proprio quei contesti culturali che ci appaiono a tenuta più stagna ad aprire quelle crepe che fanno di una società una società evoluta e inclusiva. E dobbiamo farlo per impostare ragionamenti di prospettiva, opponendo “la ragionevolezza del lungo termine” alla “destabilizzazione del breve termine”. E poi dobbiamo farlo perché storie come questa non dovrebbero nemmeno essere raccontate, dovrebbero passare inosservate “come tante altre storie d’amore”. Purtroppo, invece, storie come questa fanno ancora rabbrividire quelli che pensano di dover rinunciare ai propri diritti in conseguenza del fatto che altri e altre, diversi da loro, ne godano a loro volta. Di fatto poco importa se si sentiranno lesi nella loro ragione del giusto. Saranno i tempi della storia e delle persone (anche se lunghi) a sbugiardarli. Per ora noi sappiamo una cosa. Che musulmana, lesbica e sposata sono parole che, nella vita anche se non ancora nei dizionari, stanno proprio bene insieme.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.