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Date voce alla protesta
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Il pedaggio che la guerra al terrorismo fa pagare ai Balcani sta rapidamente crescendo. Più o meno due settimane la saga dei tre lavoratori originari di Kumanovo in macedonia, rapiti in Agosto, si concludeva con la loro esecuzione annunciata e trasmessa da Al Jazeera. Lo scorso fine settimana, un camionista croato veniva ucciso mentre era alla guida di un camion per un committente straniero. Un altro camionista croato (per la precisione Bosniaco croato, originario di Travnik) veniva catturato, questa volta dalle forze statunitensi, con l'accusa di spionaggio.
La situazione, sembra sempre di più tendere al peggioramento. Un gruppo di Albanesi macedoni, di Tetovo sono stati catturati e rilasciati dai ribelli iracheni sembra dietro il pagamento di un riscatto. I media nei paesi Balcani sempre più spesso riportano di oscuri uomini d'affari, provenienti un po' da tutte le parti del mondo, che vengono a reclutare forza lavoro (prevalentemente autisti di camion e muratori) per le loro operazioni in Iraq.
Dal canto suo l'Afghanistan sembra abbia scelto di partecipare al mercato globale del terrorismo, dove decapitare e terrorizzare gli operatori del settore umanitario è via via diventata la moneta preferita. A maggior ragione dopo l'ultimo rapimento di giovedì dei tre operatori dell'Onu una Kosovara, una irlandese ed un Filippino.
Shqipe Hebibi, si trovava là per la missione Onu impegnata ad aiutare altri; là dove c'è bisogno di tutto, a cercare di costruire le proprie democratiche istituzioni. Insieme ai suoi colleghi, è tenuta in ostaggio e sarà liberata, dicono I suoi rapitori "se tutti i combattenti talebani prigionieri verranno rilasciati dalle prigioni afgane".
La domanda è: cosa faremo noi, adesso? E per "noi", ho in mente quel segmento della società civile nei Balcani. Sicuramente ci saranno dichiarazioni congiunte e appelli volti al rilascio degli operatori Onu rapiti. Eppure, sono pronto a scommettere che questi appelli verranno da fuori della regione, mentre la gente, qui, rimarrà passiva, per dirla in maniera soft. Dico questo perché non ricordo alcun appello partito da qui per le due Simona italiane, rapite in Iraq e rilasciate, sembra dietro pagamento di un riscatto. O ancora, che si sia alzata la voce di qualcuno e che qualcuno abbia richiesto il rilascio di Margaret Hassan, rappresentane in Iraq per Care International. Niente, per quanto possa ricordare.
E il punto è che molto potrebbe essere fatto. Petizioni dovrebbero circolare ed essere presentate ai propri Governi chiedendo di far ritirare i propri cittadini/e e le proprie truppe dall'Iraq e dall'Afghanistan. Una petizione per la liberazione degli operatori catturati ha minori possibilità, non conoscendo l'indirizzo dei rapitori, mentre una petizione, per definizione avrebbe il suo indirizzo, il proprio destinatario.
Questo per lo meno in Macedonia ed in Croazia (la prima partecipante alla "Coalizione dei volontari", guidata dagli Usa in Iraq, o "dei costretti", come preferite definirla) e l'ultima in Afghanistan. C'è la possibilità di avviare una iniziativa e di richiedere ai governi di sollevare questa importante questione all'interno delle proprie coalizioni. Il Governo macedone, dovrebbe essere pressato, ad esempio, affinché avvii la discussione sul ritiro delle proprie forze dall'Iraq, come un importante fattore nella "guerra globale contro il terrorismo".
Fallire in questa azione, seppure nel più simbolico dei modi, potrebbe avere, dopo tutto incommensurabili conseguenze. Potrebbe fare si che quanti/e sono pronti ad essere parte di azioni umanitarie nelle aree in crisi del mondo ci pensino due volte. Potrebbe portare e una sospensione temporanea delle attività umanitarie, come successe alla missione UN in Iraq all'indomani dell'attacco dello scorso novembre ed adesso con Care International.
E infine, qualcuno potrebbe anche suggerire che forse Shqipe Hebibi avrebbe fatto meglio a restare e ad aiutare la costruzione delle istituzioni democratiche nel suo Kossovo, regione che soffre anch'essa in questo essenziale settore.
Ma il punto è, o era, che nessuno di noi può aiutare se stesso se non è in grado di aiutare altri nel bisogno. E per quanto mi riguarda, questo è ciò per cui la società civile esiste.
di Dejan Georgievski
(Editor of the English Edition of OneWorld South East Europe)