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Dalle Bandiere alle Carovane...
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'C'è solo la strada su cui puoi contare, la strada è l'unica salvezza⅀!'
Queste strofe di Gaber ci sono venute in mente, dopo tanto tempo, in tutto questo rifiorire di persone che - in vari luoghi e tempi in Italia- ricominciano a farsi presenti, a riprendere possesso delle strade, delle piazze, dei camminamenti di questo mondo⅀
La carovana, con tutto il senso di antico, di pionieristico e di popolare che questo nome evoca, rappresenta oggi una bella miscela di tradizioni: è un classico della storia nonviolenta, ma è anche stata -più di recente- una scelta meditata nella lotta zapatista; può ricordare un pellegrinaggio religioso, ma ha anche forti connotazioni di laica cittadinanza.
Il segno -da qualunque versante la si viva - è comunque forte: usciamo dalle case al suo passaggio, uniamoci a chi procede per un tratto di strada, accogliamola con senso di ospitalità, manifestando la nostra adesione⅀! Accogliamo questa ventata di aria fresca e pulita, che non sa del tanfo della televisione, ma anche delle nostre fumose riunioni, dei blabla di tanti 'professionisti' della politica... 'Riprendiamoci la vita, la terra, la luna e l'abbondanza⅀' , cantava un altro tanti anni fa⅀
Un'assunzione di responsabilità personale, non delegata, diretta: questo è quel che ci viene richiesto.
Il 'popolo delle bandiere' ha compiuto un primo passo un anno fa, esponendo i suoi drappi sui balconi. Ora prosegue, cresce, va avanti: esce di casa, ricomincia a prendere tempi e spazi delle città, sottraendoli alle macchine, alla quotidiana routine, all'inazione...
Prende esempio da Gandhi e dalle sue marce del sale, dai neri americani, dalle donne di Plaza de Mayo, dal 'pueblo insurgente' delle montagne messicane; ma anche dai 'trainstoppers', dalla gente di Scanzano e di Civitavecchia, dai sardi che si muovono ancora in questi giorni contro scorie e radiazioni nucleari⅀
Il movimento inizia così a fare i conti con una nonviolenza compiutamente intesa, dopo tanti anni trascorsi a fare confusioni, più o meno in buona fede ; è vero: la nonviolenza non è ancora una pratica diffusa, ma proprio perché non è indolore, ci richiama all'azione e alla responsabilità di compiere azioni in prima persona, di farsi vivi non in una massa informe (come troppo spesso capita nei cortei), ma manifestando quel che si pensa e si vuole, direttamente.
Se questo inizia ad accadere, e le carovane possono essere un nuovo ulteriore segno di questo processo in corso, il passo verso forme più incisive e continuative di lotta potrebbe essere più breve e rapido di quanto possiamo prevedere oggi: se queste pratiche diventeranno patrimonio quotidiano anche solo di una parte delle persone che partecipano alle iniziative del movimento, ci troveremo già 'in un altro mondo possibile'.
Tutto questo sta avvenendo, nonostante le opzioni della politica istituzionale che continua produrre "scelte di guerra". Ci aspettano tempi difficili e duri, in cui le nostre possibilità di stare insieme come movimento si giocheranno, in primo luogo, proprio su questo: sulla chiarezza e coerenza delle nostre scelte rispetto al rifiuto della guerra e della violenza come linguaggio e come cultura, anche quando siamo in lotta per i nostri valori ed i nostri progetti contro un avversario che gioca sporco, con carte truccate, violentandoci quotidianamente nei nostri sogni e nelle nostre speranze. Occorre trasformare al più presto quello che è stato un movimento contro la "guerra in Iraq" in un movimento stabile contro tutte le guerre.
Camminare domandando.
Comandante Abraham:
"Il cambiamento fu grande perchè molta gente cominciò a parlare di noi.
Dicevano che bisognava fermare la guerra e cercare altri modi, attraverso la politica. Vedemmo che la forza del popolo diceva che dovevamo cercare da un'altra parte.
Il popolo diceva no alla violenza e lo abbiamo ascoltato".
(tratto da 'Il fuoco e la parola')
E' urgente che tutti coloro che credono nell'azione diretta, pur a partire da differenti tradizioni (nonviolenta, situazionista, zapatista), sviluppino ora tutti i contatti e le collaborazioni possibili sul campo, avendo il coraggio di superare -nell'agire concreto- contrapposizioni ideologiche su 'violenza e nonviolenza', ma anche esibizioni e personalizzazioni di parte, ricercando il tempo e la praticabilità di azioni comuni e coordinate.
Aldo Capitini scriveva nel 1963:
"La situazione politica italiana e mondiale presenta un vuoto rivoluzionario: i partiti stanno o su posizioni conservatrici o su posizioni riformistiche, prive di tensione e di forza educatrice e propulsiva nelle moltitudini.
Vi sono tuttavia delle minoranze che vedono chiaro, ma tali minoranze devono giungere ad un'azione organica nella situazione italiana, per cui, da una società dominata da pochi, si passi ad una società aperta a tutti nelle libertà, nel potere, nella economia, nella cultura.
Lo sviluppo della lotta per la pace, la democrazia, la giustizia economica e sociale, contro la miseria e la fame nel mondo, in difesa dell'ambiente e della salute, per la diffusione dell'istruzione e la difesa della cultura, provano che le moltitudini accettano sempre di meno gli equivoci offerti dalla classe dirigente.
E' opinione sempre più accettata che esiste una connessione stretta tra il metodo rivoluzionario adottato e il tipo di potere che segue alla conclusione vittoriosa della rivoluzione.
La medesima crisi tra deficienza di potere civile delle masse e reale potere politico di gruppi ristretti è chiaramente visibile anche nelle democrazie parlamentari.
Nel nostro paese, come del resto in tutto l'occidente, la situazione è tale che tutti i vecchi metodi dell'opposizione popolare si rivelano inutilizzabili o insufficienti a mantenere una tensione rivoluzionaria che si costruisca progressivamente, nel suo sviluppo, gli adeguati strumenti pratici della sua applicazione.
Per queste ragioni siamo convinti che il metodo che deve essere assunto per per un cambiamento radicale è il metodo della nonviolenza attiva, nell'articolazione delle sue tecniche, già attuate in altri paesi in lotte di moltitudini.
Riteniamo che questo metodo sia da accettare e da svolgere non soltanto per la sconvenienza e l'improduttività dei metodi violenti e la loro inaccettabilità da parte delle nostre moltitudini, ma soprattutto per il suo contenuto profondamente umano, all'altezza del migliore sviluppo della società civile moderna.
Questo metodo, che per essere visibilmente e politicamente efficace deve essere praticato da un largo numero di persone, mostra con ciò stesso che è in grado di dare le più ampie garanzie di democraticità, di espressione delle forze dal basso, di insostituibile e mai sospendibile libertà delle più varie opinioni, di decentramento del potere nelle sue varie forme economiche, politiche, sociali, civili.
Con questo metodo è possibile dare inizio alla formazione di organismi e istituzioni dal basso che concretino tali garanzie, prefigurando e preparando la complessa società di tutti.
L'attualità di queste parole appare oggi ancora più forte, quasi schiacciante.
Le carovane di oggi proseguono a portare il loro senso e la loro urgenza per le vie, i piccoli e grandi centri del nostro paese e delle nostre vite.
Enrico Euli e Riccardo Troisi del Gruppo Nonviolenza della Rete di Lilliput