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Curare la sanità con la privatizzazione: un elisir o un veleno?
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Foto: Unsplash.com
Sorprendente, ma non inaspettato, il risultato delle elezioni amministrative della Regione Lombardia dello scorso 12 e 13 febbraio 2023. Il governatore uscente, Attilio Fontana, è stato confermato con il 54,67% dei voti. Con la scarsa affluenza registrata in questa tornata elettorale, il candidato del centrodestra è stato scelto da 1.774.477 cittadini dei 7.882.634aventi diritto al voto e che, nella maggior parte, hanno disertato le urne. La sanità, uno dei temi cavalcati dall’opposizione in campagna elettorale, non ha riscontrato interesse probabilmente. O altrettanto probabilmente l’antipolitica ha alimentato le file dell’astensionismo, vincendo sul senso di sdegno dinanzi alla pessima gestione dell’amministrazione regionale nell’emergenza Covid-19, frutto del progressivo slittamento da anni della sanità dal pubblico al privato. In Lombardia la privatizzazione della sanità ha sì creato delle eccellenze private riconosciute a livello nazionale ed europeo, ossia a pagamento (seppur sovvenzionate da soldi pubblici), ma si sta mostrando inefficiente nel garantire i livelli essenziali di assistenza ai cittadini. Guardando ai dati generali rilevati dall’inchiesta dell’Espresso alla fine del 2021, la Lombardia ha un medico di base ogni 1614 abitanti, con una media di 1389 assistiti; a livello nazionale la media è di un dottore ogni 1407 abitanti con 1212 assistiti. Solo la Provincia autonoma di Bolzano registra numeri più alti, a causa del territorio meno accessibile, e ha un medico ogni 1905 abitanti con 1583 assistiti. La situazione non può però che peggiorare: dei 5919 medici di base contati alla fine del 2021, si calcola che 2465, quasi la metà di quelli attivi, raggiungerà nei prossimi 5 anni l’età pensionabile. La carenza di personale calcolata tra il 10 e il 15% è destinata quindi ad aumentare vertiginosamente (problema evidente anche a livello nazionale) e su di essa è piombata anche l’epidemia di Covid-19 che ha purtroppo falcidiato drasticamente il personale sanitario.
Guardando al Lea, la classifica dei Livelli essenziali di assistenza, cioè le prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario è tenuto a fornire a tutti i cittadini, la Lombardia è collocata al 5° posto a livello nazionale, dopo Emilia Romagna, Toscana, Veneto, Piemonte con un’analisi che si riferisce al decennio 2010-2019. Cosa non va allora? Maria Elisa Sartor, docente di Programmazione, organizzazione e controllo nelle aziende sanitarie dell’Università degli studi di Milano, nel suo volume pubblicato nel 2021 “La privatizzazione della sanità lombarda dal 1995 al Covid-19. Un’analisi critica” lo ha spiegato dettagliatamente: le normative adottate dalla Regione Lombardia negli ultimi 25 anni, con governance di centrodestra da Formigoni a Maroni e a Fontana, hanno minato a un’offerta di cura di base, prevenzione, integrazione ospedale-territorio favorendo la strutturazione di un sistema socio-sanitario lombardo con 8 Agenzia di Tutela della Salute (ATS), che hanno sostituito le 15 ASL esistenti, e 27 nuove Aziende socio sanitarie territoriali (ASST) che dovrebbero rimpiazzare le attuali 29 Aziende ospedalieri pubbliche, con lo scopo di garantire il tanto auspicato collegamento tra ospedale e territorio. ASST in luogo della ASL ma di fatto un abbassamento dell’offerta sanitaria pubblica, mal gestita e organizzata che inducono il cittadino a rivolgersi al settore privato (per chi ha la possibilità economica) o a intasare i Pronto Soccorso per ricevere le cure di base.
Penalizzato da anni di finanziamenti inadeguati, di tagli al personale e ai posti letto, il Sistema sanitario nazionale ha mostrato tutta la sua debolezza dinanzi all’epidemia sanitaria. Proprio durante la pandemia si è raccolto un generale consenso della politica e dell’opinione pubblica sulla necessità di rafforzare e potenziale la sanità ma oggi, passata la crisi più acuta, l’interesse appare scemato come dimostra il bilancio preventivato per la sanità per l’anno 2023 pari al 6,6% del Pil e addirittura al 6,3% nel 2024. Si tratta di una delle percentuali più basse in Europa; se tra il 2017 e il 2020 la percentuale era appunto 6,6%, nel 2021 le spese si erano impennate causa Covid per poi riattestarsi al 6,7% già nel 2022. La lezione della pandemia appare non appresa affatto e il modello strisciante di privatizzazione della sanità continua ad avanzare, favorita anche dall’offerta che vede la diffusione di varie forme di assicurazioni integrative aziendali.
Scarsa assistenza di base, tempi infinitamente lunghi per visite e terapie in ospedale a fronte di una immediatezza offerta, a pagamento, dal settore privato. Il problema sta probabilmente qua: i soldi. Flussi di soldi pubblici andati a finanziare sanità privata e invece a rendere scarsamente competitiva l’offerta pubblica, privandola di fondi, di personale e rendendola inefficiente e disorganizzata. E ora cosa sta succedendo con l’arrivo degli ingenti fondi europei del PNRR sulla cosiddetta “missione 6”, ossia la sanità”? In Lombardia, colpita fortemente dall’epidemia di Covid-19 e destinataria di una buona fetta dei fondi UE, è facile ipotizzare che il mandato elettorale ricevuto dal governatore Fontana lo autorizzi a proseguire in percorso già intrapreso da più di un decennio, con buona pace del rispetto dell’articolo 32 della Costituzione che recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.
Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.