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“Credo che si sia stato un passo indietro nella tutela dei diritti umani di tutti”
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Foto: Cristian Palmer da Unsplash.com
Uno dei temi più scottanti del dibattito pubblico italiano è l’immigrazione.
Nei mesi scorsi, per la terribile tragedia del naufragio al largo di Steccato di Cutro e per la risposta che ha dato il Governo guidato da Giorgia Meloni. Nelle ultime settimane, per la conversione in legge di quella risposta: il cosiddetto Decreto Cutro, nome profano del dl 20/2023, è stato approvato con modifiche rispetto alla versione originale lo scorso 5 maggio. Significa che è diventato legge, la legge 50/2023. Negli ultimi giorni, l’Unione Europea sta discutendo di come riorganizzare la gestione dei migranti sul suo territorio: l’ultima ipotesi è creare delle quote di ingressi per ogni Paese.
L’avvocato Lorenzo Trucco di tutta questa materia si intende bene: è presidente dell’Associazione di Studi Giuridici (Asgi) sull’Immigrazione e ha difeso in svariate sedi richiedenti protezione internazionale, vittime di tratta e riduzione in schiavitù e vittime di atti di razzismo. Si dice molto preoccupato da una situazione italiana ed europea che sembra voler fare dei diritti umani dei migranti poco più che simulacri.
Cominciamo con il Decreto Cutro e una domanda molto ampia: qual è il suo effetto immediato più preoccupante?
Difficile fare una classifica. Ritengo che uno dei principali punti di grosso impatto pratico, nonché quello di cui si è discusso di più, sia lo smantellamento della protezione speciale. A livello giuridico la Legge non la abroga in toto, ma a livello pratico è ciò che accade: dal testo mancano il riferimento all’Articolo 8 della Convenzione Europea sui Diritti Umani e l’elenco delle situazioni relative alla concessione della protezione speciale. La normativa precedente parlava ad esempio di attività lavorativa e rapporti familiari che i richiedenti avevano in Italia: ora sono spariti. Come cancellata è la possibilità di rivolgersi direttamente al Questore, altro fatto molto grave.
Può spiegare meglio?
Il Decreto Lamorgese, la normativa sull’immigrazione precedente all’attuale, prevedeva che il/la richiedente asilo potesse rivolgersi direttamente alla Questura per chiedere la protezione speciale. Si trattava di una novità accolta con una certa resistenza dalle Questure, tanto che si erano dovute fare azioni legali per consentirne l’effettivo funzionamento. Ma era una novità che evitava di passare attraverso la complicata procedura tradizionale, ossia la richiesta delle tre forme di protezione (internazionale, sussidiaria e speciale) e l’esame della Commissione territoriale. Soprattutto, era una novità che rappresentava una forma di regolarizzazione a regime, ossia permetteva di ottenere un permesso di soggiorno a molte persone che si trovavano in condizione di irregolarità sul territorio nazionale.
In che senso?
Nel senso che prima della riforma Lamorgese le precedenti forme di regolarizzazione erano sanatorie che comportavano la necessità di decreti ad hoc, con numerosi limiti anche di carattere temporale. Con la possibilità di rivolgersi alla Questura in modo diretto, a fronte di alcuni elementi (come il tempo di residenza in Italia, l’attività lavorativa svolta, i rapporti familiari qui e quelli nel Paese d’origine), una persona poteva chiedere un permesso di soggiorno che andava certo valutato, ma che non implicava più misure straordinarie. Era una regolarizzazione a regime come succede in altri Paesi europei, ad esempio la Francia.
E ora, con il Decreto Cutro?
Ora la Legge 50 toglie questa opportunità. Rimane una forma residuale della protezione speciale, collegata al rischio di rimpatrio in contesti dove chi è rimpatriato possa subire torture e trattamenti inumani e degradanti. Situazioni estremamente pesanti che in realtà sono già elementi per ottenere la protezione internazionale nelle forme dell’asilo o della protezione sussidiaria. Quindi la protezione speciale rischia di non avere più una validità pratica, viene appunto smantellata. O meglio, viene smantellata di fatto, perché giuridicamente non scompare: rimangono infatti sia gli obblighi costituzionali sia la Convenzione Europea dei Diritti Umani che permettono all’Italia di concedere forme di protezione complementare.
Date le premesse, è quindi probabile che si creino contenziosi nei tribunali per applicare la protezione speciale, ma è evidente che il percorso sia molto più accidentato e difficile.
Qual è la conseguenza di questa situazione?
È una spinta verso l’irregolarità, una grossa spinta. Stiamo parlando in una cifra importante di persone: nel 2022, circa 11.000 hanno fatto richiesta e/o ottenuto la protezione speciale. Cancellando la possibilità di regolarizzazione, persone che sono da una vita sul territorio italiano, inserite e integrate, continueranno a rimanere nell’ombra e nel sommerso, vittime di sfruttamento e lavoro in nero. Si tratta di un segnale a mio avviso decisamente negativo.
Quali altri aspetti negativi ci sono nella Legge 50?
Le dicevo, molti. Un altro evidente è la riordinamento del sistema il sistema di accoglienza. Semplificando una questione molto complicata, i richiedenti asilo non entreranno più nel SAI e quindi in un sistema di accoglienza integrato, con possibilità di reale inserimento nel tessuto sociale. Verrebbero mandati nei cosiddetti CAS, dove non sono previsti consulenza giuridica, insegnamento dell'italiano, supporto psicologico. L’accoglienza rischia di limitarsi a vitto e alloggio. In questa situazione, parlare di accoglienza diventa una contraddizione molto pesante.
Ha nominato la Cedu, la Convenzione Europea dei Diritti Umani. Quali sono gli obblighi di accoglienza internazionali che ha l’Italia?
Partiamo dal presupposto che una delle vere ricchezze dell’Europa è avere elaborato nel corso del secolo scorso il sistema dei diritti umani, che prima non c’era. Sono grandi convenzioni (come la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, la Cedu, la nostra Costituzione) che costituiscono una struttura portante che pone al centro la persona e stabilisce una serie di diritti fondamentali da tutelare. Ad esempio, un punto basilare nella Convenzione di Ginevra è il divieto di respingimento: una persona non può essere respinta se nel suo Paese c’è un fondato timore di persecuzione. “Fondato timore” è come dire che non è necessario che sia in corso la persecuzione: basta la forte possibilità che ciò accada a proteggere l’individuo. E quella protezione deve necessariamente venire dallo Stato che accoglie la persona. A questo si aggiunga l’Articolo 3 della Cedu sul divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti. Non è un articolo bilanciabile, cioè non ci sono deroghe di fronte alle prove o al timore di torture o trattamenti inumani e degradanti: chi vi è esposto deve essere protetto. La formula “trattamenti inumani e degradanti” è stata poi elaborata molto nel corso del tempo. Ad esempio, vuol dire anche non essere sottoposti a condizioni carcerarie inadeguate. Tutto questo sistema è un pilastro della nostra civiltà e costituisce un obbligo per l’Italia.
E la Costituzione italiana contiene qualcosa riguardo la protezione agli stranieri?
L’Articolo 10 contiene una delle più belle definizioni del diritto d’asilo: lo prevede nei confronti delle persone a cui è impedito nel loro Paese l’effettivo godimento delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana. È una formulazione molto ampia che permette di tutelare un ventaglio di situazioni altrettanto vaste. Anche questo è un elemento cardine della nostra civiltà giuridica.
Il sistema dei diritti umani ha sempre avuto problemi, ma adesso la situazione è mutata a mio avviso: adesso stiamo assistendo a un attacco, un acclarato tentativo di erosione.
Se vogliamo renderlo con un immagine, le lancette dell’orologio dei diritti umani rischiano di tornare indietro. Secondo me, è lo stesso orologio che rischia addirittura di spaccarsi.
E il responsabile è solo la Legge 50?
No. Possono contribuire anche le riforme proposte dall’Unione Europea in campo di immigrazione, il cosiddetto New Pact. Si tratta di una riforma imponente, che riguarda tutto il sistema e si basa sul concetto di esternalizzazione dei confini per rendere sempre più difficile l’accesso e la richiesta di protezione in territorio europeo. Uno degli esempi maggiori di questa politica è stato il patto con la Turchia sui rifugiati siriani. Poi gli accordi con Paesi dove non c’è nessuna libertà e i diritti umani sono devastati: noi abbiamo il Memorandum con la Libia. In generale, sono accordi per applicare filtri che impediscono alle persone di arrivare in UE oppure, se arrivano, di richiedere la protezione in modo equo e corretto. Creano procedure accelerate e molto poco garantiste.
Ad esempio?
Il problema dei Paesi d’origine e di transito sicuro. Recentemente nella lista dei Paesi d’origine sicuri è stata inserita la Nigeria: è assurdo, se si pensa ad esempio alle vittime di tratta e di Boko Haram. Essere inseriti in questa lista implica una procedura d’esame della richiesta di protezione accelerata. Se la Commissione esaminante nega la protezione (ed è probabile), il ricorso non sospende la decisione negativa in attesa del riesame. Bisogna fare specifica domanda di sospensione al giudice e rimanere in attesa del suo giudizio. Diventa tutto più precario. La Legge 50 pone poi una serie di fattispecie che permettono di detenere in frontiera (si tratta di detenzione amministrativa) chi viene da Paesi d’origine sicuri. È un’anticipazione purtroppo del New Pact europeo. Sussiste il concreto rischio che nascano veri e propri centri di internamento come i CPR, in cui le persone possono essere trattenute fino a 4 settimane.
Rispetto appunto alla questione dei reati e delle pene, cosa prevede il Decreto Cutro?
Prevede un nuovo reato, quello di morte o lesione come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina. Da un punto di vista pratico-giuridico, il fatto preoccupante coincide con l’aumento dei minimi di pene perché si mettono sullo stesso piano situazioni diversissime. Prendiamo ad esempio i cosiddetti scafisti. Un conto è l’organizzazione che gestisce le partenza: può essere giustificata una sanzione pesante. Ma ci sono ipotesi lontanissime da questa. Accade ad esempio ai pescherecci provenienti dalla Tunisia: chi li guida sono spesso persone a cui è stato dato questo ruolo solo perché hanno qualche nozione marinara, ma sono esse stesse richiedenti asilo. Si mettono sullo stesso piano organizzazioni criminali e migranti. La Corte costituzionale ha già stigmatizzato questa situazione abrogando una parte dell’articolo 12 del Testo Unico sull’immigrazione. Il problema però rimane: se elevo i minimi di pena senza nessuna specificazione, metto sullo stesso piano comportamenti diversi. L’iniquità è evidente.
È possibile agire contro questo clima di rifiuto di protezione, italiano ed europeo, in termini giuridici?
Siamo in democrazia e gli strumenti ci sono, il ricorso alla Corte Europea dei Diritti Umani, alla Corte Europea di Giustizia, alla Corte Costituzionale. Ma sono procedure molto lunghe (prima di arrivare a una decisione della Cedu passano 4-5 anni) e non facili da esperire.
Quindi?
Bisogna vedere le conseguenze concrete del New Pact sull’immigrazione. Certo è che il clima europeo non è molto incoraggiante: si sente spesso parlare di muri, a volte vengono anche costruiti. È una situazione pesante.
Qual è il bilancio generale di fronte a questo quadro?
Come sempre, le norme sui migranti sono molto simboliche dell’approccio del legislatore a determinati problemi. Quindi io credo che ci sia un grande allarme rispetto a un passo indietro nella tutela dei diritti. Non dimentichiamo che lo smantellamento di un sistema dei diritti si ripercuote su tutti. Viviamo un momento oscuro in cui credo che tutti quelli che hanno a cuore i principi della nostra civiltà debbano cercare di contrastare questa deriva autoritaria, ognuno nel proprio ambito.
Di Carlotta Zaccarelli