Commercio: mercati tessili 'liberi' divorati dalla Cina

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Con il 31 dicembre 2004 esce definitivamente di scena l'accordo multifibre, quel trattato commerciale internazionale che, fin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, aveva regolato con tetti alle importazioni il commercio internazionale dei tessili e dell'abbigliamento. E' un'eccezione alla liberalizzazione imposta dal GATT, il trattato commerciale internazionale adottato in quell'epoca e in vigore ancora oggi. Negli ultimi 10 anni questi limiti sono stati rimossi molto parzialmente consentendo a paesi come Usa, Ue, Canada e Norvegia di fissare dei tetti massimi ai prodotti tessili che potevano provenire dagli altri Paesi, permettendo alle proprie imprese di settore di prosperare. Tutte le analisi concordano nel dire che l'unica realtà produttiva pronta a cogliere questa occasione di liberazzazione nella Cina.

La National Council of Textiles Organizations (NCTO) ha iniziato nel 2003 a monitorare l'ascesa cinese nelle categorie di prodotti liberalizzate. Nelle 29 categorie di abbigliamento per le quali gli Usa hanno rimosso le quote a partire dal 1 gennaio 2002, c'è un incremento negli ultimi 30 mesi del 1009% della quota di mercato cinese.

Nello stesso arco di tempo, 31 paesi denunciano un calo fra il 75% e il 100% di quota di mercato, 40 fra il 50 e il 74% e i rimanenti 17 se la cavano col 25-49% di perdita. Per la prima volta le cifre mostrano un calo anche dell'India (dal 2,8 all'1,6%), unico paese membro della WTO che sinora aveva mostrato di "tenere" rispetto all'avanzata cinese". E l'Africa, Paese tra i più grandi produttori di cotone e che lega, in alcuni Paesi, fino al 70-80% del proprio Pil al mercato della fibra, rischia l'ennesima bancarotta.

Un problema di regole che puntano alla massima liberalizzazione del mercato. Nel vertice regionale dell'Asean (Associazione delle nazioni dell'Asia del Sud Est), che si è tenuto lo scorso 29 novembre a Vientiane (Laos), sono state poste le basi per la creazione, entro il 2010, di un'area di libero scambio di enormi proporzioni. Una prospettiva che da una parte incute non poco timore agli Stati Uniti e al Giappone, dall'altra segna un importante passo verso la costituzione di una comunità dell'Asia orientale.

Un collante di interessi commerciali che punta su un bacino commerciale di 1,8 miliardi di persone, con un giro di affari di 100 miliardi di dollari l'anno e un tasso di crescita del 28 per cento. Una tendenza diversa, per non dire opposta, è emersa in materia di investimenti stranieri, dove la voracità del mercato cinese -in forte espansione- non ha lasciato margini di manovra ai Paesi dell'Asean.

La Campagna "La via del cotone: Passaggio in Africa" - promossa nell'ambito dell'osservatorio sul commercio Tradewatch in preparazione alla mobilitazione di aprile 2005 sugli accordi dell'Organizzazione mondiale del commercio - studia il caso emblematico del "continente dimenticato", per far conoscere i problemi e gli interessi che si nascondono dietro la produzione del cotone, ribadire l'importanza di controllo per il mercato, dell'aiuto pubblico e delle reti di economia alternativa dal basso a sostegno dell'agricoltura familiare, biologica e di qualità, dicendo no ai sussidi che stracciano i prezzi sotto i costi di produzione e strozzano i piccoli produttori nel Sud del mondo. La campagna viene presentata a Genova dall'Ong Mani Tese e la centrale del commercio equo ROBA dell'Altro Mondo, per sostenere di un progetto di sviluppo e produzione artigianale: mille sciarpine di cotone colorato, tessute nel rispetto dei diritti e della dignità delle artigiane africane del campo profughi a ridosso della cittadina di Afabet in Eritrea. [AT]

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