Coesione UE: eguaglianza di genere, la grande rimozione

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Foto: Unsplash.com

La crisi del Covid-19 ha avuto un impatto senza precedenti nella nostra società, anche se le sue conseguenze sociali ed economiche sono ancora da valutare appieno. Tra i solchi che sta lasciando la pandemia l’allargamento delle diseguaglianze di genere già esistenti: ragazze e donne sono spesso quelle ad aver subito di più, in particolare nel mondo del lavoro.

Impiegate principalmente in posizioni sottopagate nel settore dei servizi e dell'assistenza, le donne hanno sperimentato in modo drammatico l'impatto della pandemia innanzitutto in termini di calo dell'occupazione. Eurostat mostra che il tasso di disoccupazione femminile è salito all'8,0% nell'UE nell'ottobre 2020, mentre quello maschile al 7,2%. I dati pubblicati di recente   mostrano che la situazione è parzialmente migliorata, ma differenze di genere rimangono ancora marcate. 

L'uguaglianza di genere costituisce un valore fondamentale dell'UE ed è interconnessa alle sfide e agli squilibri già esistenti nello spazio europeo. Analizzare il contributo della politica di coesione nella promozione dell'uguaglianza di genere contribuisce a spiegare l'evoluzione della crescita socio-economica dell'Unione nel recente passato. Di per sé, la politica di coesione mira a sostenere lo sviluppo socio-economico e territoriale tra le varie regioni dell'UE, ponendosi quindi l’obiettivo di ridurre le disparità tra regioni ma anche tra uomini e donne. Una prospettiva di genere equilibrata permette una corretta allocazione delle risorse umane, portando quindi alla crescita economica.

Come viene affrontata la parità di genere nella politica di coesione?

Durante il periodo finanziario 2014-2020, la politica di coesione UE ha promosso la parità di genere come obiettivo orizzontale per quasi tutti i suoi fondi, attraverso il cosiddetto “gender mainstreaming”. L'aspetto negativo di questo approccio è stato quello di affiancare la parità di genere ad altri principi - come ad esempio la non discriminazione - finendo così per creare un paniere di principi in cui finisce col prevalere la genericità. Inoltre in questo modo ci si è di fatto preclusi la possibilità di valutare con accuratezza gli sforzi fatti da alcuni stati membri e regioni in termini di progresso nel ridurre le diseguaglianze di genere.

Prendiamo ad esempio il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR): qui non si menziona alcun obiettivo specifico relativo alla parità di genere. Tuttavia i vari report di valutazione mostrano che più della metà degli obiettivi del fondo FESR potrebbero avere un impatto sulla promozione della parità di genere. Dal momento che il FESR sostiene una vasta gamma di misure - si va dall’avviamento di nuove aziende, alle infrastrutture, alla diffusione di tecnologie delle comunicazioni e dell’informazione - garantirebbe opportunità rilevanti per fornire strumenti concreti che contribuiscano alla riduzione delle diseguaglianze di genere a livello europeo. Gli investimenti del FESR nei servizi di assistenza e, per esempio, nelle infrastrutture per la cura dei bambini, sarebbero utili per lo sviluppo della carriera delle donne, affrontando allo stesso tempo anche il rapido declino demografico. Ma pochi beneficiari   di questi finanziamenti hanno tradotto, dalla teoria alla pratica, il principio di uguaglianza di genere, lasciando così la promozione di quest’ultima solo sulla carta...

L'articolo di Gentiola Madhi segue su Balcanicaucaso.org

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