Chiloé e la marea rossa: disastro naturale o umano?

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Racconta una leggenda mapuche che l’arcipelago di Chiloé venne originato dall’aspra lotta tra due esseri poderosi con forma di serpente: Ten Ten Vilu, protettore delle terre emerse, e Cai Cai Vilu, signore del mare. A quei tempi Chiloé era terra ferma, unita al resto del Cile, ma Cai Cai Vilu la inondò completamente, causando l’intervento di Ten Ten Vilu in difesa degli esseri terrestri. Quest’ultimo fece crescere progressivamente le terre emerse fino alla vittoria sul rivale, anche se non fu in grado di recuperare totalmente il territorio che rimase in parte sommerso dalle acque. E’ così che nella mitologia mapuche nacquero le isole che compongono l’arcipelago situato nella Patagonia cilena.

Si tratta di isole in larga parte ancora non toccate dal turismo di massa, con vaste aree verdi e incontaminate, e popolazioni dedite all’agricoltura, all’allevamento, in parte al turismo, ma soprattutto alle attività legate al mare, principale risorsa economica della zona. Nei mesi scorsi Chiloé è stata colpita da quello che Greenpeace ha definito come uno dei disastri ambientali più gravi della storia del Cile. Migliaia di pesci, volatili e mammiferi marini morti, un odore molto forte provocato dalla cosiddetta “marea rossa”, una crescita incontrollata di alghe tossiche che proliferano a spese delle altre specie vegetali e animali. Pare che tale crescita incontrollata sia stata causata dall’innalzamento delle temperature provocato dal Niño, il fenomeno climatico che crea particolari interazioni tra oceano e atmosfera e che si presenta periodicamente nell’Oceano Pacifico. Gli abitanti di Chiloé puntano però il dito contro l’industria locale del salmone, il Cile è infatti il secondo produttore mondiale di salmone dopo la Norvegia, sebbene non si tratti di una specie autoctona cilena. Sembra infatti che l’intervento umano abbia peggiorato ulteriormente la situazione: lo sversamento di 5mila tonnellate di rifiuti provenienti dagli allevamenti di salmoni avrebbe accelerato ulteriormente il proliferare delle alghe tossiche. Si tratta di salmoni in stato di decomposizione che sono stati gettati al largo (ma non abbastanza) della città di Ancud, a sole 75 miglia dalla costa. La crisi provocata da questo uso indebito del mare come pattumiera non ha precedenti nella zona: le principali attività economiche sono ovviamente legate al mare, e centinaia di pescatori si trovano a dover sospendere loro malgrado il lavoro, con indennizzi irrisori e nessuna rassicurazione da parte del governo. E’ questo uno degli aspetti più gravi: a seguito dell'autorizzazione data agli allevamenti di salmone, la popolazione non é stata però allertata dei rischi legati alla modalità di disfacimento dei rifiuti. Allo stesso tempo, il governo si é mostrato alquanto reticente nel fornire risposte adeguate agli interrogativi sollevati da molti, a Chiloé e nel resto del paese.

Anche gli scienziati sembrano divisi e ve ne sono alcuni a favore dell’interpretazione naturale come conseguenza del Niño ed altri che denunciano invece la responsabilità dell’industria salmonera. Quello che è certo, però, è che non vi sono state in Cile negli ultimi 10 anni ricerche approfondite finanziate con fondi statali sulle maree rosse, sebbene siano un fenomeno presente da oltre 50 anni.

Molte risorse sono andate a ricerche destinate ad incentivare ed aumentare la produttivitá dell’industria della salmonicoltura. Solo il 14% di tali risorse é stato utilizzato invece per le analisi dei relativi danni ambientali. Nonostante gli scarsi finanziamenti, queste ricerche hanno però dimostrato vari effetti nocivi della salmonicoltura, come la distruzione dei fondali marini, la deossigenazione delle acque, la propagazione di infezioni a specie autoctone, l’uso indiscriminato di pesticidi e antibiotici, solo per citarne alcune. Anche Slowfood Italia mette in guardia sull’insostenibilità degli allevamenti intensivi di salmone, dato l’impiego di antibiotici, l’inquinamento causato dall’abnorme produzione di reflui, le minacce alla biodiversità quando si tratta, come in Cile, di una specie non autoctona.

Alcuni scienziati cileni, come quelli del Centro de Estudios Sociales di Chiloé, chiedono alle istituzioni che vengano eseguite indagini accurate per verificare le cause del fenomeno e affermano che non è possibile scartare l’ipotesi dell’influenza dell’industria del salmone sulla catastrofe avvenuta. Allo stesso tempo invocano il sostegno ad attività economiche alternative alla salmonicoltura, che promuovano la protezione degli ecosistemi ed il recupero della cultura locale.

Grandi mobilitazioni popolari sono seguite a questa tragedia ambientale e sociale, sia nell’arcipelago che in altre zone del paese, inclusa la capitale. E’ forte il sentimento di rivalsa da parte dei chilotes, che si sentono trattati come una sorta di discarica del paese. Le proteste si sommano a quelle che da tempo si stanno organizzando contro un ponte che dovrebbe unire l’isla grande di Chiloé alla terraferma. Molti abitanti delle isole, uniti in comitati e movimenti, credono infatti che il ponte porti vantaggi soltanto alle multinazionali, accelerando una certa visione dello sviluppo predatorio che andrebbe a tutto svantaggio delle popolazioni locali. Popolazioni che chiedono invece maggiori investimenti in ospedali, università pubbliche, piccole imprese di ecoturismo familiare e sostenibile, pesca artigianale, acquacoltura ed agricoltura su piccola scala. Chiedono inoltre maggiori risorse per dare impulso alla ricca produzione artistica, culturale, artigianale e culinaria delle isole, in modo che ciò possa fungere da richiamo per un turismo responsabile e rispettoso del fragile ecosistema dell’arcipelago.

Resta da vedere se queste legittime richieste verranno in qualche misura soddisfatte, o se invece si continuerà a dare la priorità all’allevamento intensivo e alle grandi infrastrutture

Michela Giovannini

Dottoressa di ricerca in sviluppo locale, è appassionata di America Latina, popoli indigeni, autogestione, lotte e resistenze politiche e sociali. Ha trascorso periodi di studio e ricerca sul campo in vari paesi. Messico e Cile sono i principali contesti in cui si sono svolte le sue ricerche, dedicate principalmente a varie tipologie di organizzazioni dell'economia sociale e solidale.

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