Cassazione sull'ex sindaco Lucano: non risultano frodi su appalti per i rifiuti

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Non sta in piedi, secondo la Corte di Cassazione, l’impianto accusatorio con cui si è cercato di distruggere il "modello Riace" e di conseguenza i progetti Sprar in tutta Italia. Perché mancano indizi di «comportamenti» fraudolenti che il sindaco sospeso, Domenico Lucano, avrebbe «materialmente posto in essere» per assegnare alcuni servizi, come quello della raccolta di rifiuti, a due cooperative sociali.

Va inoltre riesaminata l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione illegale, ma per un solo caso, per il quale i giudici chiedono al Tribunale di tenere in conto che si tratta di una questione «affettiva». Lucano, cioè, avrebbe cercato di proteggere dal rimpatrio la sua compagna. Le motivazioni della sentenza pronunciata il 26 febbraio, nella quale si disponeva l’annullamento con rinvio al tribunale di Locri del divieto di dimora a Riace, sono un rimprovero all’accusa. 

Secondo gli ermellini, a cui Lucano si era rivolto per ottenere la sospensione delle misure cautelari, le delibere e gli atti di affidamento dei servizi comunali sono stati adottati con «collegialità» e con i «prescritti pareri di regolarità tecnica e contabile da parte dei rispettivi responsabili del servizio interessato». Rileva inoltre, la Cassazione, che non sono provate le «opacità» che avrebbero caratterizzato l’azione di Lucano perché è la legge che consente «l’affidamento diretto di appalti» in favore delle cooperative sociali «finalizzate all’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate» a condizione che gli importi del servizio siano «inferiori alla soglia comunitaria».

Al contrario per i giudici ci sono elementi di «gravità indiziaria» del fatto che Lucano si sia dato da fare per favorire la permanenza in Italia della sua compagna Lemlem (a cui era stato annullato l’obbligo di firma). Ma i giudici di piazza Cavour, a questo riguardo invitano a considerare «la relazione affettiva» e lo stato di incensurato di Lucano.

In sintesi, per i magistrati del "Palazzaccio", le condotte contestate «allo stato paiono solo assertivamente ipotizzate», considerato che «non vengono sotto alcun profilo tratteggiate, rimanendo addirittura contraddette» dai dati di fatto raccolti. Quanto ai «matrimoni di comodo» evocati dalla procura, la Cassazione prende le distanze: «Quadro di riferimento fattuale non solo sfornito di significativi e precisi elementi di riscontro ma, addirittura, escluso da qualsiasi contestazione».

Nello Scavo da Avvenire.it

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