Caritas: luci e ombre sul Darfur

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Si deve fare di più, a proposito di aiuti ai Paesi poveri. Un monito che vale purtroppo per tutto il Nord del mondo. Basti pensare ad una delle più grandi crisi umanitarie in atto, quella del Darfur. Una situazione insostenibile, come denunciato da Caritas, Oxfam e Care all'inizio di settembre, se la comunità internazionale e i singoli governi occidentali non si assumeranno le loro responsabilità. L'ultima risoluzione delle Nazioni Unite - minacciando sanzioni nei confronti del Governo del Sudan - apre timidi spiragli. Chiede, tra l'altro, al Segretario Generale una commissione di inchiesta sulle violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani e agli Stati membri di aumentare il contributo finanziario per sostenere una più allargata presenza di una forza di pace dell'Unione africana a protezione della popolazione civile. Anche di questo e della partenza di un primo contingente di interposizione si parlerà nell'incontro in corso a Tripoli tra i Presidenti di Sudan, Ciad, Egitto, Libia, Niger, quest'ultimo presidente di turno dell'Unione africana.

Intanto gli sfollati continuano a morire - l'Oms denuncia da marzo una media di 10.000 morti al mese - e a soffrire senza prospettive concrete di poter far rientro ai loro villaggi. Nelle settimane scorse nuovi, violenti attacchi hanno costretto altre 5.000 persone a fuggire dai loro villaggi. Gli operatori Caritas lanciano un appello: bisogna cercare fonti alternative alla legna. Raccoglierla è pericoloso per le donne e un consumo così elevato potrebbe provocare grossi danni all'ambiente. L'intervento di emergenza Caritas - in collaborazione con Action by Churches Together, network delle chiese ortodossa e protestante - prevede un impegno di 14 milioni di euro a vantaggio di 500.000 persone e si sta concentrando in tre specifiche aree geografiche: Zelingi, in particolare i campi di Hassa Hissa, la città di Zelingi e a breve nei campi di Dileij, Garsila e Umkher; Ta'asha, in particolare i campi di Hashaba (1.360 famiglie), Bashum (1.986 famiglie), Borgy (1.975 famiglie) e Belil B; Kubum, in particolare i campi di Kubum (30.000 persone), Um Labassa (13.000 persone) e Dagadoussa (2.873 persone).

Quattro i settori di intervento:
- Sanitario, con l'attivazione e il rifornimento di tre centri sanitari a Kubum, Um Labassa e Dagadoussa, e la prospettiva di renderne operativi altri 12 .
- Igiene, con la costruzione di servizi igienici nella città di Zelingi, nel campo di Hassa Hissa, nella zona di Ta'asha e l'attivazione di comitati per l'educazione igienico-sanitaria nel campo di Hashaba e in quello di Bashum, Problematica ovunque è la situazione dell'acqua e per questo si stanno realizzando pozzi ed è prevista la fornitura di pezzi di ricambio per le pompe già installate.
- Aiuti alimentari, con la distribuzione di cereali, olio e zucchero a 300 bambini malnutriti sotto i cinque anni nel campo di Hashaba e interventi analoghi nelle zone di Ta'asha, Zelingi e Kubum.
- Aiuti non alimentari, con la distribuzione di teli tenda, taniche per l'acqua, coperte, zanzariere, utensili per la cucina, sapone ai 200 nuovi arrivati nel campo di Hashaba, mentre ne hanno già beneficiato altre 576 persone nel campo di Bashum. Sono stati distribuiti inoltre 2.000 set di utensili da cucina nel campo di Bashum e teli tenda e taniche per l'acqua a Wadhi Salik, nella zona di Zelingi. E' prevista la costruzione di 300 capanne nel campo di Belil B.
Vi sono poi circa 190.000 sudanesi che dal Darfur si sono rifugiati in Ciad, per lo più accolti in 10 campi profughi. Alla Caritas diocesana di N'djamena (SECADEV) è affidata la gestione di tre campi: Farchana, Kounougou e Touloum per un totale di 38.865 rifugiati. La rete internazionale la sostiene contribuendo alla distribuzione di aiuti non alimentari, sementi, vaccini per bestiame e ad attività educative per bambini.

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