Carcere: Cnca, 'lo stato da lezioni di illegalità'

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Il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (C.N.C.A.) ritiene del tutto giustificate le manifestazioni di protesta messe in atto in questi giorni dai cittadini detenuti negli Istituti Penitenziari del nostro Paese contro la privazione di diritti fondamentali a cui sono sottoposti.
Queste privazioni per un verso rendono la qualità della vita in carcere assolutamente inadeguata da diversi punti di vista. Ricordiamo solo i due aspetti più evidenti: quello della salute - l'ormai avvenuto passaggio delle competenze in materia dall'amministrazione penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale è rimasto lettera morta - e quello logistico, a causa del grado di sovraffollamento cronico delle nostre carceri.
Per altro verso, tali gravi disagi negano la fruizione di percorsi di espiazione della pena, alternativi alla detenzione, che, in teoria, la semplice applicazione delle leggi dovrebbe invece garantire.
Le carceri affollate non sono governabili se non in deroga alla legalità. La soglia della tollerabilità è stata superata dappertutto e spesso le conseguenze di questo stato vengono gestite anche con maltrattamenti che i detenuti sono costretti a subire.
Riteniamo che in questo modo lo Stato dia una lezione di illegalità ai cittadini detenuti, ai quali invece dovrebbe offrire, attraverso un percorso di "rieducazione" - come enuncia la Costituzione -, un modello di convivenza civile basato sulla legalità. È scandaloso il modo in cui un cittadino, durante il periodo di detenzione, perda una serie di diritti - oltre quello alla libertà, che secondo il nostro dettato costituzionale dovrebbe essere l'unico ad essere sospeso - senza che ciò rappresenti occasione di denuncia sociale e di conseguente ripristino di uno stato di diritto da parte delle Istituzioni preposte.
È noto che un terzo delle persone in carcere è composto da tossicodipendenti e un altro terzo da immigrati; il fatto che abbiano commesso dei reati è quasi incidentale rispetto alla problematica che vivono. Il C.N.C.A. sottolinea che, in tale situazione, una legge come quella proposta dal Vice Premier Gianfranco Fini sulla droga avrebbe come effetto quello di riempire ulteriormente le carceri di persone che dovrebbero essere piuttosto aiutate. Non si possono gestire fenomeni come quello dell'immigrazione e dell'uso di sostanze attraverso politiche repressive e con la privazione della libertà.
Se queste politiche sono motivate dal danno che queste persone arrecano alla collettività, dovremmo riflettere sul fatto che il danno patrimoniale arrecato da una sola persona, ad esempio il dott. Calisto Tanzi, è probabilmente superiore a quello arrecato da tutti gli anonimi detenuti che sovraffollano le nostre carceri, e questa persona a differenza degli altri non è attualmente detenuta.
Altro clamoroso esempio, anche se di mala gestione, rispetto alla possibile elasticità che l'attuale normativa offre in merito alla concessione dei benefici alternativi alla detenzione, ci è stato offerto dal Tribunale di Roma che ha applicato tale norma per un illustre criminale come Brusca, mentre è tutto più difficile e lungo per i detenuti comuni.
Il C.N.C.A. avanza, di conseguenza, le seguenti proposte:

- Riteniamo sia urgente una drastica riduzione del numero dei detenuti attraverso un'amnistia, più volte richiesta da forze politiche, sociali ed ecclesiali; si ricorderà che il Santo Padre in persona ne sollecitò l'emanazione in occasione della sua visita al Parlamento italiano.

- Il Tribunale di Sorveglianza deve recuperare le funzioni originali per cui è nato: il controllo del rispetto dei diritti dei detenuti.

- La Legge Gozzini - visto che il giudice quando condanna e quantifica la pena ne tiene conto, cioè considera la riduzione della pena, i permessi e quant'altro previsto - se poi non viene applicata è come se mettesse il reo nella condizione di essere condannato due volte. Particolarmente difficile appare la fruizione delle misure alternative da parte dei detenuti immigrati, in quanto non hanno un alloggio quale residenza ufficiale.

- Il diritto al lavoro e alla formazione deve valere anche per i cittadini detenuti. Al contrario, risulta quasi impossibile organizzare stage e tirocini fuori dal carcere - diminuendo così significativamente le possibilità di apprendimento dei detenuti - e, nel contempo, non sono organizzate attività di lavoro produttivo in carcere per conto di aziende esterne, se non in qualche esperienza pilota.

- Il diritto di accesso al carcere da parte delle stesse organizzazioni non profit appare quasi ovunque difficile da ottenere, tendendo così i penitenziari a comprimere la tipologia dei soggetti in essi presenti.

"Il carcere - afferma Lucio Babolin, presidente del C.N.C.A. - è una risposta sbagliata di fronte a un comportamento illegale, ancor più dinanzi a problemi che sono essenzialmente di natura economica e sociale, produce piuttosto malattia, non solo per chi è detenuto, ma anche per chi ci lavora. La civiltà di un Paese si misura anche dalle sue carceri: se questa è - come alcuni ritengono - una civiltà superiore forse ne dobbiamo inventare un'altra."

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