Bolivia, la pervicace quarta candidatura di Evo Morales

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Poco si sente parlare della Bolivia, se non per qualche celebre arresto di latitanti. In parte si giustifica per il limitato peso specifico che comporta lo stato bolivariano in campo tanto economico quanto demografico: poco più di 11 milioni di abitanti. Lo Stato Plurinazionale di Bolivia ha la particolarità di avere due capitali. Da una parte la perla coloniale della città di Sucre (patrimonio UNESCO dal 1991), sede dell’organo giudiziale, nonché capitale storica e costituzionale dove si è fondata la Repubblica di Bolivia il 6 agosto 1825. Dall’altra La Paz, che concentra il potere esecutivo, legislativo ed elettorale, oltre ad essere l’epicentro politico, culturale e finanziario del paese. Da gennaio 2006 la Bolivia è governata senza interruzioni da Evo Morales, che nelle elezioni del 2005 ottiene una maggioranza assoluta (54% dei voti), cosa che era successa solo 2 volte prima nella storia della repubblica. Nelle elezioni del 2009 e del 2014 si ripete lo stesso ritornello, proiettando di fatto il presidente boliviano verso un mandato che gli permetterà di stare 14 anni al potere.

Evo Morales è un politico sicuramente tanto amato dal suo popolo quanto discusso, specie dopo aver dato manforte morale al compagno Maduro durante la concitata crisi venezuelana, quale ultimo caposaldo della sinistra bolivariana sopravvissuta in America Latina. Si perché dopo le recenti conversioni politiche avvenute in Brasile, Argentina, Cile, Peru ed Ecuador, la Bolivia, assieme al Venezuela e Cuba rappresentano gli ultimi, decimati, governi del Socialismo del XXI Secolo rimasti in vita. Morales, in totale sintonia col sovrano venezuelano, ha condannato il nuovo governo autoproclamato di Juan Guaido e ha annunciato che le nuove sanzioni unilaterali imposte dagli Stati Uniti sono un attentato alla pace e alla stabilità di tutto il continente, perché “usurpano il denaro del popolo venezuelano per consegnarlo alla destra golpista di Guaido, sottomessa ai disegni del Dipartamento di Stato degli EEUU”. La linea anti-imperialista di Morales è inequivocabile. Forse perché la Bolivia è uno dei pochi stati a non essere stato investito dall’onda migratoria disperata dei “fratelli venezuelani”. Forse perché, generalmente, si emigra in paesi più sviluppati ed economicamente sani.

Evo è una persona emblematica. Discendente da una famiglia di minatori della comunità Aymara, è il primo presidente indigeno eletto in Bolivia, salutato con tanto affetto dai boliviani, spesso solo per le sue sembianze da indio che ostentano una somiglianza visiva molto forte. Circa il 40% della popolazione boliviana appartiene a una etnia indigena originale, un record per l’America del Sud, che in parte spiega il successo dell’Evo patriottico, in cui onore è stata denominata anche una città (Puerto Evo Morales). Nonostante Morales non parli la lingua, si identifica nelle tradizioni Aymara, una delle dieci nazioni indigene originali che convivono nel territorio boliviano, riconosciute dalla Costituzione. Prima di formarsi nell’”università della vita” e di intraprendere la carriera sindacalista e politica, il ragazzo Evo si è dato da fare nell’agricoltura, si prendeva cura di un piccolo gregge di lama, oltre ad aver lavorato saltuariamente come il ruolo di muratore, fornaio e trombettista nella banda della sua cittadina. Le origini modeste lo hanno sempre ispirato e accompagnato nelle sue lotte sociali a difesa dei deboli, principalmente come segretario generale del sindacato dei coltivatori (campesinos) della coca; una pianta considerata sacra dalle popolazioni indigene di molti paesi latini, tra cui gli Aymara e Quechua, che la masticano avidamente ad ogni occasione, nei campi, in casa, guidando l’automobile.

Gli effetti benefici del governo di Evo sono evidenti, con una netta diminuzione dell’indice di povertà estrema nel decennio 2005-2015 da 36,7% a 16,8%, e un progressivo miglioramento dell’indice di disuguaglianza GINI dallo 0,60 al 0,47 nello stesso periodo. La nazionalizzazione delle risorse di idrocarburi (la Bolivia possiede la seconda riserva più grande di gas naturale in Sud America dopo il Venezuela) ha reso possibile il sostegno di varie politiche sociali, mentre il salario minimo è salito a circa 2 mila bolivianos (260 euro). È pur vero che il paese vanta un’economia tra le più stabili della regione, con una crescita costante e l’affermazione di un modello che si basa sulla statalizzazione, industrializzazione (una graduale industrializzazione del litio e investimenti in elettricità) e distribuzione della ricchezza. I popoli indigeni si considerano in maggioranza contenti col loro presidente, forse perché ascoltati e difesi per la prima volta.

Il resoconto sarebbe però, così, incompleto. Su altri fronti il paese cola a picco. Indipendentemente dalla crescita costante, il paese detiene il terzultimo reddito pro capite registrato in America Latina, precedendo solo l’Honduras e il Nicaragua. Il processo di diversificazione dell’economia è ancora troppo lento e profondamente dipendente dall’estrazione di gas naturali e petrolio, venduti prevalentemente a Argentina e Brasile (le nueve perforazioni non conoscono fine). Le nuove stime del FMI riducono le previsioni di crescita per il 2019, come reazione al basso prezzo delle materie prime, l’inasprimento delle condizioni di finanziamento e la modesta crescita dei partner regionali. A questo si aggiunge un’economia informale diffusa a livelli epidemici, oltre a un incremento sproporzionato del commercio illegale di cocaina, tutt’altro che contrastato dal governo. La mancanza d’istruzione, l’inquinamento, lo sfruttamento territoriale incontrollato, i conflitti interni (buona parte della stessa Isola del Sole, destinazione turistica per eccellenza nel Lago Titicaca, non è visitabile per continui scontri tra due comunità confinanti), l’elevata povertà, in tutte le sue accezioni, completano l’immagine. Gli anni delle vacche grasse sembrano finiti e al governo Morales si accusa di essere stato complice di elargizioni di denaro pubblico senza una politica di miglioramento strutturale dei servizi o apparenti criteri meritocratici. Una disfunzione ricorrente delle economie socialiste bolivariane, che, imperterrite, cavalcano un’ideologia anacronistica, mentre, di fatto, restano alla guida dei paesi più arretrati dell’America Latina.

Lo stesso popolo che tanto lo adorava, adesso inizia ad accusarlo di populismo e l’esagerata propaganda ad personam (“Evo mantiene le promesse”) su mezzi pubblici e privati inizia a stancare. “Si è innamorato del trono e lo difende con lo unghie”, “è un leader cambiato rispetto ai buoni propositi del primo governo”, “i boliviani ne hanno abbastanza della stessa persona al potere da 13 anni”. Il fatto che il Tribunale Supremo Elettorale abbia accolto la candidatura (incostituzionale) di Evo per le elezioni di ottobre 2019, per quello che probabilmente sarà il suo quarto mandato consecutivo, sicuramente non giova al clima. Soprattutto perché ignora la volontà popolare del referendum dove i boliviani votarono chiaramente contro la rielezione di Evo Morales. L’alta astensione alle elezioni primarie del partito di Morales lo scorso 27 di gennaio, è l’ennesimo sintomo del malessere dei simpatizzanti del leader. Inutile precisare che l’idea di un paese governato dallo stesso presidente per 18 anni inquieta, se non desta qualche sospetto sulla condotta democratica. Rincarano la dose le ultime notizie che qualificano la Bolivia tra i paesi più corrotti al mondoNell'indice di percezione della corruzione (IPC) 2018, stilato da Transparency International (TI), la Bolivia ha ottenuto un punteggio di 29 su 100 (132esima su 180), scendendo di 20 posti rispetto al 2017.

In definitiva, la Bolivia è un paese che racchiude innumerevoli contraddizioni, a partire dalle sue stesse persone, latini atipici nella loro chiusura, riservatezza, vulnerabilità. Aggrappata a un modello di sviluppo che ha saputo dare buoni frutti, ma a una velocità che con difficoltà potrà colmare il gap con i paesi limitrofi, risulta ancora sommerso da problemi strutturali obiettivamente troppo onerosi. L’erosione del sostegno a Morales risponde, forse, a un disegno di smembramento delle sinistre su scala continentale. In Brasile e Argentina governa la destra, Lula è in carcere, Maduro scricchiola e i rubinetti dei partner internazionali si assottigliano. L’effetto domino è cominciato da tempo e anticipa la caduta del Socialismo del XXI Secolo. Morales farà tutto il possibile per segregarsi nella sua fortezza, e utilizzerà vecchie strategie, più o meno illegali, tanto care ai leader delle sinistre latine agli sgoccioli del loro consenso, e della loro dignità.

Marco Grisenti

Laureato in Economia e Analisi Finanziaria, dal 2014 lavoro nel settore della finanza sostenibile con un occhio di riguardo per l'America Latina, che mi ha accolto per tanti anni. Ho collaborato con ONG attive nella microfinanza e nell’imprenditorialità sociale, ho spaziato in vari ruoli all'interno di società di consulenza e banche etiche, fino ad approdare a fondi d'investimento specializzati nell’impact investing. In una costante ricerca di risposte e soluzioni ai tanti problemi che affliggono il Sud del mondo, e non solo. Il viaggio - il partire senza sapere quando si torna, e verso quale nuova "casa" - è stato il fedele complice di anni tanto spensierati quanto impegnati, che mi hanno permesso di abbattere barriere fuori e dentro di me, assaporare panorami, odori e melodie di luoghi altrimenti ancora lontani, appagare una curiositá senza fine. Credo in un mondo più sano, equilibrato ed inclusivo, dove si possa valorizzare il diverso. Per Unimondo cerco di trasmettere, senza filtri, la veritá e la sensibilità che incontro e assimilo sul mio sentiero.

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